3.11.14

I neologismi? Sono il new trip, beibi!

Un mesetto fa Chiara Solerio ha parlato dei neologismi sul suo blog Appunti a MargineI commenti di alcuni dei suoi followers mi hanno acceso come un cerino gettato in un falò. Proprio in quei giorni stavo scrivendo un post sullo stesso argomento ma decisi di lasciar passare un po' di tempo, per riflettere con calma e poter spiegare il mio punto di vista con toni pacati anziché rispondere sul momento, sbranando il computer e sputando sentenze.

Perchè nascono i neologismi


I neologismi nascono dalla necessità di esprimere qualcosa che fino a quel momento non esisteva (wi-fi), qualcosa che esisteva già altrove (happy hour), o qualcosa che si è evoluto (la telenovela rimpiazzata dalla soap opera). I neologismi nascono ogni giorno dai bisogni della vita comune, dal confronto tra culture, dall'evoluzione delle mode e delle tecnologie. 
I neologismi li inventiamo noi, tra amici, al lavoro, in viaggio. Li creiamo, li esportiamo, li alimentiamo ripetendoli, li uccidiamo tacendoli. 

Personalmente, io amo le parole. Mi sforzo di imparare le lingue, mi piacciono i giochi di parole, i suoni delle lettere. Invento nomignoli privati per le persone che mi sono care (chiamo mio padre Pipu), esporto proverbi e modi di dire italiani (qui ormai è di moda dire "I know my chickens"), il mio parlato è un cocktail di Spanglish e Itañol ("give me a snackino, nada mas").

Per il matrimonio del mio migliore amico ho scritto una favola da regalare a lui e alla moglie. Nel mondo fantastico dove si svolge la storia ci sono un sacco di impenzioni, come le patanzine (patate miste a melanzane e zucchine) e i goccioli (gocce a forma di bocciolo). C'è la pascaldella col fondo tripratile che cuoce senza fuoco e perfino i guantibili, gli intoccabili guanti invisibili.

Una sera, tra amici, abbiamo giocato a Scarabeo con una regola speciale: le parole sul tabellone dovevano essere inventate sul momento, il giocatore di turno doveva spiegarle agli altri convincendoli che i termini di fantasia fossero adatti alla loro definizione. È un buon modo per allenare l'immaginazione e farsi due grasse risate, o anche per permettere di partecipare a qualcuno che non conosce ancora bene l'italiano.






Provate a indovinare il significato di queste... passurdole









Purtroppo c'è anche l'altro lato della medaglia, quando mischio le lingue inavvertitamente e ne escono frasi imbarazzanti: 
"Hai preteso di non vedermi!"
"Ma no, è stato un misinteso..."

Il post di Chiara


Chiara dice di aver studiato i neologismi nati negli ultimi anni per inserirli nel suo romanzo che si svolge in tre diverse epoche, non molto lontane tra loro. Giustamente, non vuole rischiare di usare certi termini che ancora non esistevano o che non andavano di moda come oggi. Nel 2000 non c'erano né i leggings né i selfie fatti con lo smartphone. I colpi di luce non si chiamavano più meches ma non ancora shatush. Così come negli anni '80 c'erano i paninari con le Timberland e il Mont Claire, negli anni '90  ci si divideva tra fighetti e sfattoni, poi col "Grande Fratello" sono arrivati i tamarri e non s'è salvato più nessuno.

I commenti sul blog di Chiara hanno diviso i partecipanti tra coloro che aborrano i neologismi, coloro che ne sono spaventati e coloro che li sopportano più o meno bene. Ecco alcuni estratti della discussione:

Io, se avessi scritto un post del genere, sarei stata ancora più cattiva di te, nel senso che avrei messo in evidenza la mia avversione profonda per tutto ciò che riguarda i cosiddetti neologismi di epoca moderna. Partendo dal fatto che io non amo molto la tecnologia e che sono un affezionata di tutto ciò che è "vecchio stampo", parole come tag, smartphone, photoshoppare, etc, mi fanno venire il voltastomaco, le dita si ritirano e non vogliono scrivere. Che lingua è? Un misto tra inglese ed italiano, immagino, il che non mi piace per niente. Certo è pur vero che bisogna mantenersi al passo con i tempi altrimenti non ci si evolve.

- Non mi piace usare parole mutuate dall'inglese solo perché "fa figo" quando c'è un termine perfettamente equivalente in italiano. E la cosa che mi infastidisce di più e che molte delle persone che lo fanno non sanno parlare inglese.
…  mi dispiace vederle mescolate così, senza troppa cognizione di causa. Mi piacerebbe di più se ognuna mantenesse la propria identità... ma è anche vero che le lingue si evolvono e che non si può arrestare il corso degli eventi.

- In molti scrittori trovo un atteggiamento di questo tipo, forse dipendente da una sorta di insicurezza intellettuale. Storcono il naso davanti a certe parole e ne preferiscono altre sicuramente più sofisticate ma meno esplicative. A mio avviso esistono parole che è quasi impossibile tradurre. Computer, ad esempio: vogliamo fare come i francesi che lo chiamano "ordinateur"?

- Non sono un purista della lingua, ma credo che espressioni straniere e neologismi si accomodino troppo spesso sulle poltrone lasciate libere dai nostri vuoti lessicali.

- Secondo me ci sono delle parole che, per senso comune, "sentiamo" più utilizzabili di altre.
Io non userei mai aperisushi (che madonna è?) ma apericena sì, perché è diffuso su ogni strato sociale e regionale.

- E' vero che usiamo termini inglesi anche dove non servono, ma non mi piace vedere la lingua come qualcosa da mettere in una teca, imbalsamata per l'eternità. Se il termine inglese è molto diffuso, di solito non mi disturba sentirlo usare, né usarlo.



Il mio punto di vista


Alcuni dei termini che Chiara cita tra i neologismi suonano alle mie orecchie come parole comuni: stalker, happy hour, sfigato.

Altri termini non li ho mai sentiti nominare: aperisushi, aperidog, apericena.

Ci sono neologismi che non mi convincono: selfie, googlare, grillini (a Reggio Emilia grillo=pene). Anche i jeggings (leggings di jeans) mi fanno un po' ridere.

Ci sono termini che sono stati neologismi e che usiamo ogni giorno: web, Internet, mouse, gay, sit-com, chapeau, touché, bancomat, check in, gate, check up, lit-blog, cocktail, paella, ratatouille (e mille altre ricette regionali, drinks e desserts). Pensate a che figura idiota farebbero oggi quelli che negli anni '60 si rifiutavano di accettare il termine hippie.

Lo stesso vale per gli acronimi: AUSL, RSVPSCI-FI, POS. Queste sigle un tempo erano spaventose come oggi lo sono ASAP (as soon as possible), FYI (for your information) e BFF (best friends forever). 
Se i neologismi vi danno il volta stomaco, siate coerenti e smettete di fare acquisti online
A chi ha scritto che non vuole usare il termine inglese se esiste il corrispondente in italiano voglio chiedere: tu quando vai a una visita medica ti rifiuti di pagare il ticket?
Usare neologismi non "fa figo"? Non mi risulta che "fa figo" sia sul dizionario. Inoltre, dire "fa figo" non "fa figo".

Ognuno di noi parla in modo diverso e si esprime come preferisce. Quando lavoravo al ristorante a Melbourne e mi chiedevano un OJ perché erano troppo pigri per dire "Orange Juice" volevo sputargli nel bicchiere. Abbiamo il diritto alle nostre preferenze, e rispetto i puristi se si tratta della lingua SCRITTA. Se volete scrivere poesia o usare la scrittura come esercizio di stile, usate pure il dizionario di cento anni fa se vi garba. Però, per quanto riguarda la vita di tutti i giorni, guardiamoci intorno: con chi parleremo tra dieci anni se non ci sforziamo di stare al passo coi tempi? Non potremo confrontarci con i nostri vicini, che oggi sanno tre parole d'italiano perché sono appena arrivati e non conoscono nulla della nostra cultura e delle nostre tradizioni. Non potremo divertirci con i giovani, perché non capiremo il linguaggio informatico che per i bambini è così ovvio e che per la maggior parte degli adulti è un mistero. Basta pensare a quanti di noi scendono a compromessi con Blogger e Wordpress perché non riusciamo a spaziare i paragrafi come ci pare. Non riusciremo a spiegarci quando saremo in viaggio, non capiremo le sigle europee e internazionali usate per strada o nei campeggi.

I neologismi li creiamo noi, alcuni sono buffi, brutti o passeggeri, altri resteranno nel linguaggio delle generazioni future. Lasciamo il perfezionismo nel suo mondo perfetto e divertiamoci invece a manipolare le parole a nostro uso e consumo. Cosa ne pensate?

33 commenti:

  1. Adesso posso ricattarti, finalmente. Infatti, se girassi il tuo "link" a quelli della Crusca saresti bella che spacciata! :P

    Scherzi a parte, condivido anche se, c'è sempre un se, bisognerebbe prima valutare se è proprio necessario usare il termine inglese quando c'è quello italiano o il neologismo quando andrebbe bene un termine preesistente. Insomma, c'è anche una sorta di pigrizia nell'uso dei neologismi, quella pigrizia che non ti fa conoscere la tua propria lingua fino in fondo.

    Detto questo, mi dai il cell del tuo pusher, please?

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    1. Bravo Salvatore usa il mio pusher così posso ricattarti anch'io ;)
      Ogni termine è stato un neologismo a un certo punto, chi impara parole nuove non è pigro secondo me, è visionario. Se dovessi scegliere preferirei non sapere i termini andati in disuso piuttosto che non sapere i termini appena entrati in uso. Certo sarebbe ancora meglio saperli tutti, ma la memoria ormai non è più quella di una volta...

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  2. Bisognerebbe "sciallarla", con 'sta storia dei neologismi :)

    Più seriamente: come sempre nella vita, dipende. Se scrivi dovresti essere bravo abbastanza da non farti intrappolare dal termine "ultimo grido", a meno che non ti serva per caratterizzare l'ambientazione, esattamente come lo stile roccocò e le lampade stile impero nelle descrizioni. Però è anche inutile fare i puristi fino in fondo: posto di esserne capaci, a che servirebbe scrivere oggi come Cecco Angiolieri?
    Come diceva qualcuno, la lingua è una saponetta che si smussa con l'uso e, se tutti cominciassimo a scrivere "qual'è", anche la Crusca se ne farebbe una ragione e lo direbbe corretto, con buona pace dei tweet che affermano il contrario.

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    1. Grazie Michele, oggi mi hai insegnato "sciallare" che non so cosa vuol dire, ma immagino significhi "smettere" (giusto?) e "la lingua è una saponetta che si smussa con l'uso" che mi sembra un'ottima metafora, adatta a questa discussione. Se scrivo di un gruppo di ragazzi che viaggiano nel 2014 userò i neologismi di oggi, se invece non voglio specificare l'anno esatto in cui avviene la storia starò attenta ad evitare certi termini non ancora rodati.

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    2. La forma più nota è "scialla", imperativo seconda persona singolare, che è spiegato così dall'Accademia della Crusca (giuro! :D):
      scialla (anche nella grafia shalla) usata da giovani con il significato di 'stai tranquillo, calmati'.
      Ne hanno fatto anche il titolo di un film - http://it.wikipedia.org/wiki/Scialla!_(Stai_sereno) - e nella sezione curiosità c'è una probabile origine del termine.

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    3. Sono andata subito a vedere la sezione curiosità, se avessi dovuto indovinare avrei detto che il termine veniva dall'India... non ho sbagliato di molto.
      Secondo me il vero equivalente inglese di "scialla" non è "take it easy", che è usato da tutti e da molto tempo, bensì "chillax" (chill+relax) che ad alcuni piace ma che altri non userebbero nemmeno sotto tortura!

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  3. Firmo, condivido, concordo! Non sento per niente il bisogno di proteggere la lingua italiana e mantenerla "pura". Perché? Non si mescolano le persone nel mondo, a differenza di quanto succedeva secoli fa? Allora non vedo perché dobbiamo mettere in una teca la nostra lingua, che deve avere la possibilità di cambiare come tutto il resto. Le cose imbalsamate, incluse le foto e gli oggetti delle collezioni, mi ispirano una certa avversione. Scrivendo, però, dei gusti altrui tengo conto, anche se dissento, perciò evito di esagerare con termini stranieri e neologismi. Nella vita quotidiana, invece, sono appena un gradino sotto di te come creatività verbale. In famiglia ormai abbiamo un lessico che andrebbe documentato per i posteri. ;)

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    1. Scrivendo romanzi, intendo. Sul blog non mi metto troppi problemi.

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    2. I gruppi ristretti e le famiglie sono ideali per la produzione di neologismi. Se non lo fai già, ti consiglio di scrivere tutto su un diario, io l'avevo fatto un anno in campeggio ed è sempre una risata assicurata! Potresti anche creare una famiglia che li usa nel tuo prossimo romanzo!

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  4. Lo scarabeo creativo è bellissimo!
    Quando ho dato l'esame di Storia della Lingua Italiana (secoli fa...) il prof ha detto che l'italiano ha rischiato di estinguersi nel settecento, mangiato dal francese, se confrontiamo in numero di parole di origine francese entrate nella nostra lingua nel 1600 e nel 1700 con quelle inglesi entrate nell'ultimo secolo non c'è storia, vincono i francesi. Da quel momento ho smesso di preoccuparmi della purezza della lingua, che già l'espressione "purezza della..." mi suona male.
    Poi io sono dislessica e già faccio fatica con l'italiano, quindi se posso evito come la peste di usare termini inglesi. Finirei per coniare neologismo involontari.

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    1. Non so nulla di Storia della Lingua Italiana ma questo dato lo conoscevo perché il dialetto delle mie parti contiene tanti termini francesi entrati in uso ai tempi dell'invasione di Napoleone. Mi hai fatto venire in mente che l'evoluzione della lingua e la multiculturalità porteranno probabilmente all'estinzione dei dialetti, già nessuno parla più come parlava mia nonna, e questo mi dispiace molto perché il dialetto contiene moltissima saggezza popolare.
      Per quanto riguarda la tua dislessia, non posso contraddirti perché deve essere faticoso scrivere libri e insegnare italiano stando sempre attenta a non mischiare le lettere, però pensa a quanti bei termini itanglesi potresti inventare!

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    2. Perdona l'off-topic: sai che io invece tengo la penna con tutte e cinque le dita? Le suore alle elementari hanno provato in tutti i modi ad insegnarmi l'impugnatura corretta, ma io non ho mai voluto saperne. E, nonostante le parole di certi sapientoni, non mi sono mai slogata un polso né ho avuto problemi alla vista (sono astigmatica, ma la causa è ereditaria).

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    3. Ma come si fa?!? Ha Ha. Non riesco... riesco bene con quattro dita ma se tengo anche il mignolo sulla biro non ne esce nulla di leggibile. Per caso sei una di quelli che tiene la mano a granchio? Mi fa troppo ridere vederli, hanno sempre il profilo della mano nero d'inchiostro.

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    4. Non so cosa intendi per "mano a granchio", faccio una ricerca e poi ti dico. Comunque sì, anche io mi sporco sempre ;)

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  5. Innanzi tutto, grazie per la citazione. :)

    Fra i commenti che elenchi ne trovo anche uno mio, pubblicato in risposta alla ragazza che criticava chi usava i neologismi, accusandolo di voler "fare il figo":

    "In molti scrittori trovo un atteggiamento di questo tipo, forse dipendente da una sorta di insicurezza intellettuale. Storcono il naso davanti a certe parole e ne preferiscono altre sicuramente più sofisticate ma meno esplicative. A mio avviso esistono parole che è quasi impossibile tradurre. Computer, ad esempio: vogliamo fare come i francesi che lo chiamano "ordinateur"?"

    Ciò che io volevo dire, con questo post, lo ribadisco ora. Chi difende a tutti i costi la purezza della lingua italiana rifiutandosi di usare i neologismi è paragonabile a chi dice "io non guardo mai la tv" come se questo comportamento lo qualificasse, automaticamente, come intellettuale. Io credo che la cultura non debba mai essere SNOB. La persona colta non è quella che dice "calcolatore" invece di "computer", ma è quella che conoscendo tutte le parole possibili per indicare un determinato oggetto è in grado di scegliere quello più adatto. Io cerco di utilizzare un linguaggio coerente con il parlare della gente. Uso la terza persona limitata: un mio coetaneo, ai giorni nostri, non direbbe più "autoscatto" per indicare un "selfie". Questa è la mia personale idea di realismo! :)

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    1. Sono d'accordo con te, essere SNOB non porta da nessuna parte. In Spagna ridevo tanto del fatto che chiamassero il basket "baloncesto" senza rendermi conto che "pallacanestro" probabilmente suona altrettanto buffo.
      PS: Quando è entrata in uso la parola SNOB sono certa che qualche SNOB si è rifiutato di usarla :)

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  6. Io spero sempre che nel dizionario entri "chimicare" parola che per adesso non c'è e che aveva usato Primo Levi in un suo racconto.

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    1. Non ho mai sentito dire "chimicare" ma se vuoi che entri nel dizionario ti consiglio di dirlo e scriverlo il più possibile, potresti riuscire nel tuo intento. Da queste parti potrebbe funzionare, sono sempre tutti in fame chimica ;)

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    2. Chimicare = effettuare un'analisi chimica.

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  7. Oggi si usa troppo l'inglese e a sproposito, secondo me. Il selfie è il nostro autoscatto. I competitor sono i nostri concorrenti, tanto per fare due esempi.

    Con abbreviazioni e acronimi io non vado d'accordo: devo sempre chiedere a chi li usa di spiegarmi cosa sta dicendo.

    Sul ticket mi chiedo: ma non potevano usare il più semplice nome di tassa, biglietto, ecc.?

    Stesso discorso per l'attuale "jobs act" che sento pronunciare in ogni modo possibile. Cacchio, ma siamo in Italia.

    Termini come googlare sono sbagliati a prescindere (oltre che ridicoli), perché rovinano la nostra bella lingua, che andrebbe protetta.

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  8. Il "selfie" non è l'autoscatto, che si faceva lasciando la macchina fotografica in bilico su un muretto e correndo al proprio posto sorridendo per dieci secondi. Il termine "selfie" racchiude in sé il concetto di telecamera secondaria che ti permette di vederti e metterti in posa prima di scattare e deve essere per forza un primo piano perché si scatta a braccio teso.

    Se hai concorrenti stranieri e non sai che si chiamano "competitor" hai già perso in partenza.

    "Ticket" e "jobs act" sono termini che aiutano gli italiani a capire che non siamo in Italia, siamo in EUROPA e ci siamo da un bel po' e sarebbe ora di accettarlo.

    Termini come "Googlare" non sono sbagliati (anche se ridicoli) e non rovinano la lingua secondo me, semplicemente la evolvono. Anziché dire messaggio di posta elettronica ci siamo abituati a dire "e-mail", anziché dire ricerca su un motore di ricerca ci abitueremo a dire "Googlare". Anche "faxare", "dribblare", "phon" e "e-book" sono neologismi, e all'inizio ci facevano aggrottare le sopracciglia ma sarebbe più ridicolo intestardirsi a non usarli.

    I nostri ipotetici figli non troverebbero lavoro né potrebbero amalgamarsi nella nostra nuova società multiculturale se li educassimo a proteggere la nostra bella lingua.

    Detto questo, ti ringrazio di aver espresso la tua opinione discordante anziché passare oltre mandandomi a quel paese :)

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  9. Un aspetto dei neologismi che non è stato esaminato, o almeno non mi sembra che qualcuno ne abbia accennato in questa discussione. Bisogna avere un istinto per i termini che sopravviveranno, cioè che resteranno nella lingua del futuro, magari fra vent'anni, e fuggirne altri che sono invece legati a mode passeggere e che tra qualche anno non significheranno nulla perché sostituite da altre mode. "Scialla" tra vent'anni lo useremo ancora? Credo che sia legato a una stagione, per quanto di successo. Se lo usiamo in un libro oggi, tutti lo capirebbero, e anche se non lo capissero lo troverebbero comunque legato a un linguaggio giovanile. Tra vent'anni potrebbe però non significare nulla, o addirittura dare una sensazione di desueto.
    Quando leggo un classico, cioè libri di cento-duecento anni fa, resto sempre stupito dal fatto che l'autore usi parole ancora vive nella lingua di oggi. Forse la costruzione della frase risente del suo tempo, ma i termini sono per lo più gli stessi che usiamo e conosciamo noi. Non trovo né l'aperisushi di allora, né il selfie di oggi. Visto che un libro dovrebbe vivere a lungo, e parlare anche ad altri che verranno, non bisognerebbe puntare troppo su parole che potrebbero abbandonarci nel tempo. Soprattutto quando si parla di tecnologia i neologismi si logorano velocemente. Ma vale anche per la moda, il cinema, la cucina, la musica.
    Più neologismi immettiamo nei nostri libri, più datiamo il libro stesso. E questo alla lunga è negativo.

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  10. Scrivere un libro "datato" non la vedo come una cosa negativa, anzi. Può darsi che tra cinquant'anni il mio romanzo ambientato nel 2014 regali un sorriso e una lacrima a chi ha vissuto quell'anno e ritrova tra le mie pagine l'atmosfera di quell'epoca. A me piace un sacco ricordare gli anni '80 in cui c'erano i paninari e le sfitinzie, per questo motivo ho inserito nel mio romanzo i punkabbestia, non mi importa se ci saranno o meno tra vent'anni. Se invece ti interessa scrivere il prossimo classico incrollabile, sono d'accordo che non sia il caso di usare termini come "sciallare", anche se considerando le probabili origini musulmane del termine e mettendo questo dato in relazione con i dati anagrafici del prossimo censimento, avrebbe senso scommettere che il termine avrà lunga durata. Secondo me nello scrivere in modo classico più che evitare i neologismi si dovrebbero evitare tutte le parolacce e gli insulti più coloriti, anche quelli più radicati nella lingua e comunemente usati come intercalare nel linguaggio parlato.

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    1. Qui non sono d'accordo con te, anche se mi piace la lingua in evoluzione. Vorrei che quello che scrivo fosse inserito nel suo contesto, ma nel modo più eterno e universale possibile (parole grosse, lo so). Di solito trovo un compromesso senza grossi problemi, per esempio inserendo pochi dati del periodo che siano riconoscibili da chi lo ha vissuto, ma non enfatizzati, né necessari alla comprensione di chi quel periodo non lo ha vissuto. C'è da dire che io non soffro molto i compromessi in generale, perciò forse non faccio testo. Ho sempre l'impressione che far passare il messaggio della storia sia più importante che impuntarmi su questo genere di dettagli.

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  11. solo una volta, credo, ho inventato una parola: avevo bisogno di esprimere uno stato d'animo particolare e dalle diverse sfumatura ma nessun termine esistente mi soddisfaceva. e poi volevo una parola nuova che altri potessero condividere nella sua essenza. così è nato "passinbruno"
    ciao,
    ml

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  12. "Passinbruno" mi fa pensare a una dolce nostalgica malinconia passeggera. Che significato ha per te?

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    1. esattamente quello che hai descritto, una condizione emotiva dalle diverse sfaccettature (appunto, nostalgia e malinconia soprattutto) che ho cercato di tradurre in un brano ("il passinbruno") che ho postato qualche tempo fa sul blog.
      ciao,
      ml

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  13. Concordo molto con le tue osservazioni. Ovviamente, dipende dal "come" si utilizzano questi neologismi: se si utilizzano con il solo scopo di ostentarne la conoscenza (e vedo molte persone che si atteggiano, proprio per fare il figo!), allora siamo di fronte a dei Looser (!), diversamente fa parte dell'evoluzione civile e sociale.
    Bellissimo lo Scarabeo a base di parole di fantasia!

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  14. Grazie Stefano, fammi sapere se ci giocherai.
    Per quanto riguarda il "come" si usano i neologismi, è difficile distinguere tra coloro a cui piace giocare con le parole e coloro che si sentono fighi perché le usano. Io uso molte parole inglesi solo perché mi "suonano" più normali, sono più abituata a sentirle. Per esempio (non è una critica, solo un esempio) io non capivo il significato del nome del tuo blog, lexpensatorelaowai. Grazie a Google ora so che significa "alieno, straniero" in cinese, ma non penso che tu l'abbia scelto per fare il "figo", anzi, mi sento "loser" io che non lo sapevo e ti sono grata di avermi insegnato un bel neologismo!

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  15. Sono della stessa idea di Tenar e Daniele. Le lingue si influenzano a vicenda e io accetto ben volentieri le parole straniere prestate all'Italiano e mi fa piacere quando l'Italiano presta le sue parole ad altre lingue, ma non devono essere storpiate.
    Ciò che proprio non sopporto è voler storpiare parole straniere per adattarle ad un'altra lingua, o prendi in prestito sostantivi oppure non coniugare verbi all'italiana, che poi che rabbia quando le parole già le abbiamo. Nessuno si accorge della bruttura di "sharare", fa un torto all'inglese "share" e all'italiano "condividere"; poi "performace" di qua "performace" di là, esiste la parola "prestazione", usiamola; "peformante"? ma usiamo "prestante" oppure "prestazionale" che seppur un neologismo è più conforme alla lingua in cui è inserito.
    Come ho detto non sono contro le parole prese in prestito e i neologismi, io stesso ho dovuto inventare dei nomi per il mio primo libro perché non esistevano, dopotutto le parole sono tutte neologismi all'inizio, ma le storpiature proprio non le accetto.

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  16. "Sharare" non l'avevo mai sentito, ma son certa che "shakerare" ha fatto arricciare qualche naso all'inizio. Eppure oggi farebbe ridere ordinare un cocktail "mescolato".
    Inventare le parole dà un tocco di magia al racconto, ed è divertente!

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    1. Io "sharare" l'ho visto persino scritto sui dei volantini pubblicitari.
      Per quanto riguarda "shakerare", la questione è un po' diversa, chi lo pronuncia bene dice "scecherare" e diciamo che mantiene un po' dell'inglese e rimanda al sostantivo "shaker", è forzato, ma ci può stare. "Sharare" invece lo pronunciano "sc(i)arare" che nulla ha più a che fare con l'inglese, il verbo italiano "condividere" traduce "share" egregiamente senza perdita di significati.
      Per quanto riguarda i cocktail o i drink, io ricordo una battuta di James Bond che chiede il suo "agitato non mescolato", sarà che sono un po' all'antica e Bond non è più il figo che era una volta, sarà stato il passaggio di testimone da Sean Connery ai successori e "shakerare" ha preso il sopravvento, ma "shakerato non mescolato" non ti suona peggio?
      Certo che è divertente inventar parole, sprigiona tutta la loro magia!

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    2. Ammetto che sciarare è davvero brutto.
      James Bond potrebbe dire "caccacaccacacca" che sarebbe figo lo stesso :)

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