25.3.15

L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio - di Murakami Haruki





Che lettura meravigliosa! Avete presente quei romanzi che scaldano il cuore e colorano le giornate? Quelli che ti fanno scordare di andare a dormire, e che vorresti non finissero mai, anche se non vedi l'ora di svelare il segreto e sai già che solo all'ultima pagina scoprirai tutti i tasselli del puzzle? Ecco, così è
il nuovo romanzo di Murakami.

Se vi è piaciuto Norwegian Wood, amerete il viaggio di Tsukuru nel suo mondo interiore, circondato da persone i cui cognomi contengono il nome di un colore e le cui personalità ne rispecchiano le caratteristiche. Mister Gray, per esempio, non si svela mai completamente, e finisce per sparire senza lasciare traccia. La donna che Tsukuru frequenta, Sara, è la persona giusta per costruirsi un futuro insieme? Forse, ma solo dopo che Tsukuru avrà affrontato il suo passato, andando di persona a chiedere spiegazioni a chi lo ha abbandonato senza motivo. 

La magia nascosta nel quotidiano, tipica di Murakami, aleggia su ogni pagina del suo nuovo romanzo, così come l'unicità del paesaggio culturale giapponese, oltre ad un nuovo tocco, un volo tra i boschi della Finlandia, dove si cammina stando attenti a non essere rapiti dagli gnomi cattivi. In 1Q84 Murakami aveva inventato un intero universo, con L'incolore Takazi Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio lo scrittore di Kobe riduce la prospettiva a una singola mente, con i suoi ricordi, le sue insicurezze e i suoi desideri, consapevoli ed inconsci. Il sesso, che Tsukuru vive più nella mente che nel corpo, influenza l'intero corso della sua vita e le sue relazioni più significative. Anche la morte fa il suo ingresso nel racconto, sotto forma di bene passabile da persona a persona, perdendo così i suoi caratteristici connotati di ineluttabilità e indesiderabilità.

La trama


Quando i suoi migliori amici lo ripudiano, senza degnarsi di spiegarne il motivo, Tsukuru passa molto tempo sull'orlo del baratro, per poi uscirne cambiato irrimediabilmente. Insicuro, incolore, incapace di aprire il suo cuore, Tsukuru finisce gli studi e conduce una vita morigerata di giorni lavorativi e serate solitarie. Dopo sedici anni la verità su quella separazione verrà alla luce, cambiando di nuovo il cuore di Tsukuru per sempre.

L'autore


Murakami Haruki (1949) è nato a Tokyo e cresciuto a Kobe. È autore di romanzi, saggi, racconti e ha anche tradotto scrittori famosi. I suoi libri sono tradotti in moltissime lingue, il suo nome è forse il più rinomato tra gli autori giapponesi. Il suo successo è dovuto alla miscela di atmosfere giapponesi e cultura pop americana, di cui Murakami è un appassionato conoscitore. Lo stile di Murakami è originale e invidiabile. Scrive frasi brevi, pulite, che vanno direttamente al punto, trafiggendo il cuore del lettore. Le descrizioni dei personaggi e dei paesaggi sono lunghe e particolareggiate, eppure non stancano mai, forse perché le storie sono talmente bizzarre che diventa necessario conoscerne anche i più piccoli dettagli. Murakami è un maestro nel non tralasciare nulla, creando situazioni improbabili e rendendole assolutamente credibili.

L'angolo del follower


Oggi mi lancio in un esperimento molto... da psicologa, diciamo, cercando di indovinare i vostri gusti e i vostri commenti a questo post.
Molti di voi diranno di aver già letto Murakami, e di averlo apprezzato. 
So per certo che Salvatore lo sta leggendo e scommetto che Grazia amerà questo romanzo, probabilmente è già nella sua wishlist, conoscendo il suo amore per gli autori giapponesi.
Daniele sicuramente deciderà di non leggerlo, visto che non c'è un singolo libro mai scritto che sia piaciuto a entrambi. 
Marina sarà grata della recensione, perché anche il suo romanzo, 31 Dicembre, nasce da un'idea bizzarra che porta il lettore direttamente dentro alla testa del protagonista, che è a sua volta infilato in un mondo parallelo, virtuale. 
Glò e Tratto d'Unione si segneranno subito il titolo e ne posteranno presto la recensione, e anche Sandra, Serena e Tenar potrebbero decidere di leggerlo. 
Stefano, Annamaria, Pendolante e Stefania potrebbero essere interessati, ma probabilmente non ne andranno matti. 
Invece Michele, Massimo, Marco, Chiara, Helgaldo, Maria Teresa, ml e Moz non lo leggeranno, perché al momento non è il tipo di libro che cercano. 
Che ne dite? Ne è uscito un esperimento da psichica più che da psicologa, ma mi sono divertita a immedesimarmi con ognuno di voi, siate buoni e perdonatemi. Vediamo quanti ne ho azzeccati?

17.3.15

La seconda regola della scrittura creativa


La discussione nata la settimana scorsa dall'idea di Gardner che non esistano regole per scrivere fiction ha portato alla luce diversi punti di vista. C'è chi è allergico ai manuali di scrittura, chi invece li conosce a memoria. Alcuni sono grati di avere linee guida da seguire, altri invece si sforzano di crearsene di proprie. Serena ha proposto le sue riflessioni sul suo blog
Più o meno tutti, però, siamo d'accordo che conoscere le tecniche della fiction sia importante, pur mantenendo la libertà di fregarsene e sapendo che tali regole possono, e devono, essere infrante.

Proseguiamo questa riflessione e vediamo se anche oggi riesco a provocarvi con le idee di Gardner, che io stessa, stavolta, non condivido.

La lettura


Leggere attentamente, intensamente, e continuamente, ogni tipo di testo scritto, permette allo scrittore di trasformare la tecnica in una parte di sé, così come per un pianista la musica diventa una seconda natura.

Mi permetto di indovinare e dire che, fin qui, siamo tutti d'accordo. Andiamo avanti.

Secondo Gardner, un IGNORAMUS, cioè uno scrittore che si è tenuto lontano dall'educazione, non ha mai prodotto grande arte. Il problema di non aver mai letto nulla che valga la pena leggere è che in tal modo non si può essere consapevoli del fatto che la scrittura è sempre, in qualche modo, un’imitazione. Gli esseri umani, come gli scimpanzé, possono concludere molto poco senza seguire un modello. Quando leggiamo un bel libro e pensiamo “Questo sì che è un romanzo!”, ecco allora che in noi nasce il desiderio di scrivere qualcosa di altrettanto valido e indimenticabile.

Caro Gardner, non sono d'accordo con queste tue affermazioni. Ammetto che, senza aver letto romanzi, uno non possa sapere se ha scritto qualcosa di originale, o di facilmente vendibile. Ammetto che sarebbe difficile scrivere una storia che regge, evitare l'infodump o creare un incipit perfetto senza un minimo di modello da seguire. Per quanto cinica e disillusa, però, voglio credere che esista ancora qualcosa di inesplorato al mondo, qualche perla di saggezza che non sia ancora stata pensata, qualche tecnica narrativa non ancora ideata. Voglio poter credere nei miracoli. Le mode narrative cambieranno, e chissà che tra di noi non si trovi un autore sconosciuto che un giorno potrà dire: "Sono stato io a inventare questo, l'ho scritto io per primo e ora tutti vogliono imitarmi". Se davvero pensassi che tutto quello a cui posso aspirare è copiare i grandi del passato come una scimmietta ammaestrata, finirei col perdere la soddisfazione che nasce in me nel momento in cui riesco a mettere in fila due parole decenti. 

Per supportare le mie convinzioni, riporto una prova empirica, intesa a dimostrare che un ignoramus è in grado di produrre grande arte.

carmenmunafo.wordpress.com
Anni fa ho lavorato in un campo giochi estivo, a Reggio Emilia. C'era una bambina autistica, di nome Elena, che passava tutto il giorno a guardare dentro i tombini in giardino, sfarfallando le mani e parlando un suo linguaggio incomprensibile. Sarebbe stato facile, per chiunque, credere che non si rendesse conto di dov'era. Un giorno, con l'ausilio della CF, una tecnica di scrittura al computer, Elena scrisse una poesia chiamata "La ricetta della felicità": con un pizzico di pazienza e una tazza di sorrisi, ringraziava gli educatori dell'estate passata in compagnia. Senza aver mai letto i grandi classici né i manuali di scrittura, Elena regalò a tutti occhi lucidi e pelle d'oca, e dopo così tanti anni, quella lettura mi regala ancora emozioni. Non mi scorderò mai né la poesia né la bambina che la scrisse. Se questa non è arte, caro Gardner, tanto vale che io appenda la biro al chiodo (il computer no, che costa troppo).

L'angolo del follower


Cosa ne pensate della teoria di Gardner? A che opere si riferisce quando parla dei "libri che valga la pena di leggere"? Quanti dobbiamo leggerne per non essere più considerati ignoramus? E come si fa a distinguere quel che è arte da quel che è imitazione? 

10.3.15

La prima regola della scrittura creativa


Come scegliamo un manuale di scrittura creativa


I manuali di scrittura creativa sono tanti, eppure non è difficile scegliere quale leggere. In genere si dà un’occhiata a tutti i testi che capitano sotto mano, o che ci sono stati consigliati, si legge l'indice e un paio di pagine, e già ci si sente attratti o meno dal testo. All’inizio della carriera creativa, ogni manuale insegna qualcosa di nuovo e ci pare utile, prendiamo appunti e sottolineiamo i punti chiave delineati nel testo. Più si legge, più si scopre che alcuni manuali non sono altro che noiose ripetizioni di cose già dette, concetti di base che si trovano in ogni manuale, errori comuni triti e ritriti. Si inizia dunque a riconoscere che esiste una variegata fauna di scrittori falliti/mediocri che si improvvisano insegnanti, puntando tutto sul gran numero di aspiranti scrittori e sperando nella roulette del self-publishing.
Più si impara a scegliere i testi giusti, più si notano le preferenze personali. C’è chi predilige testi tecnici, specificamente votati ad insegnare la grammatica o la struttura del testo; c’è invece chi cerca motivazione e incoraggiamento in libri autobiografici di scrittori famosi o sull’arte della scrittura in generale. Non sempre però la scelta è razionale; certi giorni, un titolo promettente è sufficiente a entusiasmarci e convincerci che un nuovo libro è proprio quello che ci serve per non mollare, per ricordarci che se abbiamo già letto cinquanta manuali e non ci siamo ancora stufati allora per forza significa che siamo destinati a diventare scrittori, prima o poi.

Il non plus ultra dei manuali di scrittura 


La primavera scorsa, durante una lezione su come sviluppare la trama di un romanzo, l’autrice Caroline Adderson ha consigliato The Art of Fiction, di John Gardner (1933-1982), come il non plus ultra dei manuali di scrittura, specificando che solo autori esperti avrebbero potuto trarre vantaggio dalla lettura, in quanto i contenuti sono a dir poco complicati. Ovviamente non ho resistito alla tentazione di ordinarlo, dopo averlo cercato in biblioteca e varie librerie senza successo. Guardando la biografia dell’autore, ho notato che sia The art of fiction (di cui non mi pare esista una traduzione in italiano) sia On becoming a novelist (tradotto col titolo Il mestiere dello scrittore) sono usciti un anno dopo la morte dell’autore, per cui sono propensa a credere che i contenuti dei due testi non possano essere dissimili. So che alcuni di voi hanno letto Il mestiere dello scrittore, quindi fatemi sapere se i miei sospetti sono fondati. 






A seguire presento la prima di una serie di riflessioni che ho in mente di scrivere ispirandomi alle idee di Gardner, con lo scopo di condividere un testo che consiglio di leggere per intero a chi mastica bene l’inglese, i classici e i manuali di scrittura.




Sull'artrite estetica e le regole infrante


Il primo tema trattato in The Art of Fiction è l’artrite estetica, malattia che nasce dalla convinzione che quando si scrive fiction alcune cose vadano sempre fatte ed altre sempre evitate, risultando di conseguenza rigidi, pedanti e con l'intuito atrofizzato. 
Esistono postulati d’estetica a cui affidarsi, ma il loro livello d’astrazione è così elevato da risultare di poca o nessuna utilità allo scrittore. La maggior parte di questi postulati non sono universali e assoluti in senso lato, basta pensare al seguente dogma, ben noto a qualunque scrittore: “Tutte le aspettative sollevate nel corso della storia devono essere soddisfatte, esplicitamente o implicitamente, entro i confini del racconto”. In altre parole: ogni dubbio nato nella mente del lettore deve trovare risposta prima della fine del libro. Gardner cita Omero e Shakespeare, ma basta pensare a qualsiasi romanzo con un finale aperto per poter affermare che questo postulato è relativo.

L’arte dipende in gran parte dai sentimenti, dall’intuizione, dal gusto. È il feeling, non questa o quella regola, che ispira il pittore a mettere il giallo qui e non là, e magari poi di cambiarlo con un marrone, un viola o un verde pisello. Lo scrittore, allo stesso modo, sente come e quando è il momento di sorprendere il lettore, o tenerlo in sospeso, e qual è il ritmo ottimale per farlo. 
Quel che l’intuito produce, deve essere però tenuto sotto controllo. Cito direttamente le parole di Gardner: What Fancy sends, the writer must order by Judgment. Lo scrittore deve pensare in modo lineare, come un matematico, per poter intuire quando è ora di sacrificare la precisione per un fine superiore, quando semplificare, prendere scorciatoie, quando far risaltare ciò che conta, lasciando il resto sullo sfondo.

La prima e ultima regola che conta per lo scrittore creativo, dunque, è che, per quanto ci possano essere regole (formule) per una fiction ordinaria, facilmente pubblicabile - fiction imitativa - non ci sono regole vere per la fiction vera, così come non ci sono regole per l’arte visiva e la composizione musicale.
Ci sono centinaia di tecniche, intese a guidare la via e ad evitare gli errori più comuni, ma ciò che lo scrittore in erba deve imparare non sono le regole, bensì come infrangerle.

L'angolo del follower


Siete d'accordo con questa idea sovversiva della scrittura come arte che infrange le regole? Ci sono regole che seguite sempre e che ritenete postulati assoluti per uno scrittore? Ci sono regole, all'opposto, che avete scelto di non seguire?

4.3.15

La revisione del romanzo


Sono ormai passati mesi dal giorno in cui ho messo la parola FINE alla prima stesura del mio romanzo, che per ora ho intitolato NTS. 
La sua presenza mi accompagna, giorno dopo giorno, come un monito silente dell’impegno preso e non mantenuto. Le sue pagine se ne stanno zitte e ferme sulla scrivania, a volte aperte a volte chiuse, come fiori che fanno capolino per vedere se è arrivata la primavera e si ritirano di nuovo, infreddoliti dal gelo notturno. Sto sdraiata nel letto ad ascoltare i lamenti dei personaggi, i miei sogni sono infestati dai buchi neri della trama. Non avrei mai voluto dover dire quel che sto per confessare, ma è giunta l’ora della verità: la revisione mi terrorizza.

Il baratro


All’inizio sembrava normale, giusto anzi, lasciar decantare le parole per qualche settimana, come consigliano i manuali di scrittura. Ho stampato le pagine lasciando ampio spazio per i commenti e le ho riposte in una cartelletta rossa comprata per l’occasione. Passate quattro settimane, ho riletto l’intero romanzo, da pagina uno a pagina centosettantasei, armata di matita e pennarello rosso. Ne è uscito un bel quadretto di arte moderna, abbondante di frecce, cerchi e punti interrogativi. Non me ne sono preoccupata più di tanto, sul momento. Se ero riuscita a superare lo scoglio della prima stesura, non mi avrebbe fermato più nulla.
Il panico ha fatto la sua comparsa la mattina che ho aperto l’agenda e ho trovato la scritta a caratteri cubitali: “INIZIO REVISIONE”. Intorno a me c’erano solo domande e dubbi, scritti ordinatamente dal numero uno al numero duecentotrentotto sul blocco per gli appunti, scarabocchiati su post-it appesi in ogni stanza, accennati tra le pagine del quadernino da borsetta, stipati addirittura tra le notes del telefono. I punti interrogativi hanno preso vita e si sono ingigantiti, arpionandomi alla gola e strattonandomi da ogni lato. D’un tratto, altri interessi hanno iniziato a punzecchiare la mia attenzione. Potrei fare l’orto quest’anno… sarebbe proprio ora di completare quel puzzle da 2000 pezzi… stamattina non posso scrivere perché devo tagliare la legna/telefonare a casa prima che vadano a letto/pulire la tazza del cesso… La mattina che piuttosto di sedermi alla scrivania ho pensato di mettermi a cucinare ho capito di avere un problema. Non esisterà mai nulla per cui io sia meno portata dello stare in cucina. Diventerò Hemingway prima di riuscire a non bruciare il toast. Era ora di cercare aiuto.

Le possibili soluzioni


Rileggendo NTS ho pensato che l'idea era buona, ma si capiva che il lessico, lo stile e i dialoghi erano quelli di un principiante. La tentazione di mettere da parte NTS per dedicarmi a una nuova storia era forte, avrei potuto programmarla meglio e pensarla più a fondo prima di iniziare a scrivere, scegliendo personaggi molto diversi da me per non cadere nella trappola dell’autoreferenziale. Avrei potuto mettere NTS nel cassetto per un paio d'anni e riprenderlo in mano quando avrò più strumenti nella mia cassetta degli attrezzi, e quando sarò più sicura di me. Il problema è che ripartire quando non si è ancora arrivati non sembrava giusto, e le idee non arrivavano, le energie erano carenti. Per fortuna è arrivata a soccorrermi Anima di Carta, che ha risposto così ai miei dubbi:

Il mio consiglio è parecchio viziato da quello che ho fatto io, ma te lo do lo stesso. Mi sono trovata nelle tue stesse condizioni per ben due volte. La prima ho messo da parte il romanzo e ne ho iniziato un altro. Finito il secondo, ho ripreso in mano il primo e l'ho riscritto radicalmente. Sono abbastanza soddisfatta. Ora sto modificando anche il secondo. Entrambi mi sembravano buoni per certi aspetti, ma banali per altri, insomma avevo le tue stesse sensazioni.
In conclusione, ti suggerisco di non abbandonare questo romanzo, prova a pensare a come migliorarlo, potrebbe bastare un taglio diverso o un maggiore approfondimento dei personaggi. Se hai la sensazione che c'è del buono, è un peccato buttare tutto all'aria. E come tu stessa hai detto, ora hai esperienza.
L'entusiasmo torna, non preoccuparti!

Ci ho riflettuto e ho deciso che NTS ha le basi per diventare un romanzo degno di pubblicazione. I personaggi sono credibili, il cuore della storia batte forte, alcuni passaggi sono buoni e la trama non è scontata. Ci sono tanti, tanti, tanti miglioramenti da fare, scene da tagliare, descrizioni da aggiungere… quello si può fare, il problema è rispondere alle domande di base. Qual è la premise, l’anima del romanzo? Ho rispettato il contratto col lettore? Chi sono il narratore e il narratario

La luce alla fine del tunnel


Incredibile ma vero, i blog di scrittura che insistono sull’importanza di ritagliarsi un orario fisso giornaliero per la scrittura, hanno ragione. Da un paio di settimane, ogni mattina apro il file di NTS e nient’altro. Non guardo la mail, non leggo i blog, non guardo se fuori c’è il sole. Mi siedo con una palpebra mezza aperta, e mi dedico a quello. 

- Il primo ostacolo che ho dovuto affrontare è stato l’incipit. L’ho scritto, riscritto, l’ho spostato in un punto diverso della storia, ho anteposto un prologo, poi l’ho tolto, poi l'ho rimesso. La verità è che adesso come adesso non posso sapere quale sarà l’incipit. Di nuovo, finché non risponderò alle domande di base non potrò andare avanti. Se si vuole disegnare un cavallo, non ci si può fissare sui dettagli dei peli del naso se non si è almeno disegnato il profilo e scelto il colore dell’animale.

Il secondo ostacolo incontrato è che per ogni domanda a cui si riesce a dare risposta ne nascono altre dieci, piccoli Gremlins fastidiosi che si riproducono senza controllo e ti sfidano coi loro sorrisetti impertinenti. Per fortuna anche l’entusiasmo si moltiplica, facendo nascere nuove sfumature dei personaggi, altri twist della trama e forse anche un finale più drammatico.


- Il terzo ostacolo è derivato dall'aver trasformato la passione in dovere. Convinta di dover seguire alla lettera i consigli dei manuali e dei blog, ho smesso di divertirmi, scrivere è diventato un compito in classe. Per riuscire ad andare avanti, ho dovuto lasciar perdere le regole, e per ora mi dedico ad affrontare una riga dopo l'altra. Ho scelto una scena centrale  del romanzo, una delle mie preferite, e l’ho riscritta, rendendola perfetta. Il giorno dopo, l’ho riscritta, perché non mi sembrava più così perfetta. Il giorno dopo idem, ma mi è rimasto un po’ di tempo per dedicarmi alla scena successiva. Se continuo di questo passo, quando NTS vedrà la luce, sarà diventato un romanzo storico. Ma poco importa. Per ora mi basta sapere che ogni giorno visiterò il mio romanzo e pian piano spero che si abituerà alla mia presenza, lo addomesticherò come il piccolo principe con la volpe, sarò un amante attento e premuroso, gli dirò che non posso restare seduto in disparte... gli correrò incontro e gli griderò 

Ma fammi il piacere 
ti voglio aiutare 
su fammi provare 
ancora ti aamooo 
ricominciamo...