23.9.15

Due finali per infiniti temi


Oggi vorrei riprendere la riflessione sullo scrittore vasaio, capace di creare un intero mondo fittizio con un singolo gesto continuativo, permettendo così al lettore di non svegliarsi mai dal sogno narrativo. Ogni distrazione viene eliminata dallo scrittore in fase di revisione, ponendo attenzione al ritmo della storia, ai contenuti della trama e alla coerenza dei personaggi. A monte, è necessario avere tra le mani il tema giusto da trattare. Ogni persona ha interessi diversi ed è impossibile trovare un tema che piaccia a tutti, per cui quando ci si trova a decidere di cosa scrivere è meglio scegliere qualcosa di cui si è profondamente appassionati, in modo da assicurarsi che almeno parte dell’entusiasmo sia trasmessa ai lettori. 

Il tema è infinito


Molti scrittori si rivolgono ai classici e tentano di imitare il loro modo di scrivere e i loro argomenti, senza tenere conto che con l’avvento della fotografia e di Internet (per non parlare dei pacchetti last minute) non si può più scrivere un intero capitolo, come si faceva un tempo, solo per descrivere un posto, per quanto esotico e mozzafiato. 
Perfino gli atlanti sono stati surclassati da Google, non illudiamoci che i lettori siano più pazienti coi nostri romanzi. Chi legge, lo fa per uscire dalla sua realtà, vuole sentirsi partecipe del racconto, e questo è il segreto della grande letteratura di tutti i tempi: dare al lettore la sensazione di far parte di qualcosa di immenso. Ogni scrittore sceglie la sua propria immensità e cerca di trasmetterla ad anime affini. Nonostante i temi siano infiniti, ci sono tre temi che possono essere considerati universali, nel senso che interessano al 99,9% del pubblico. Non ricordo su quale manuale di scrittura ho trovato questa statistica, ma non credo farete fatica a crederci, perché è piuttosto ovvia. 
I tre temi più quotati dai lettori sono, in ordine d'importanza:

1) la morte;
2) l'amore;
3) il potere.


Gli elementi sono finiti


Per scrivere di questi tre temi universali, e di tutti gli altri infiniti temi, abbiamo a disposizione un numero finito di strumenti.
“Non possiamo pensare alle cose, ma solo al loro nome” diceva Hobbes. In questa ottica, per costruire un argomento complesso dobbiamo usare l’astrazione, perché ogni elemento preso da solo ha un significato limitato, mentre in relazione con tutti gli altri elementi diventa qualcosa di più significativo. Non è questa la sede per approfondire il discorso, ma il tema può risultare ostico a un neofita della filosofia per cui eccovi un semplice esempio. Un pezzo di metallo curvo e bucherellato non è una gran scoperta di per sé, ma lo diventa se avvitato su un cilindro di vetro contenente del sale, perché ci permette di insaporire l’insalata al punto giusto.
Il numero di elementi a nostra disposizione per creare una narrazione è dunque limitato, per quanto nessuno possa dire con precisione quale sia tale cifra, certamente esorbitante. Ogni scrittore usa, più o meno consapevolmente, gli elementi della fiction, cambiandone il significato, la posizione, creando sovrapposizioni che portano a nuove, originali combinazioni. Prima o poi ogni combinazione possibile arriva a un finale, che a sua volta può essere solo di due tipi.

I finali sono due


Il tipico finale è la risoluzione: il caso è risolto, la coppia è ricongiunta, la pietra è ritrovata.

Il finale alternativo è l’esaurimento logico: gli eventi possono sempre e solo ripetersi in un circolo vizioso infinito, senza mai risolversi. Il protagonista alcolizzato ricomincerà sempre a bere, il delinquente fuggitivo verrà sempre riacciuffato, la moglie tradita riprenderà ogni volta il marito fedifrago in casa.




Questo secondo tipo di finale non dà molta soddisfazione al lettore, a meno che non si sia alla ricerca di una risoluzione intellettuale piuttosto che emotiva. Per la maggior parte dei lettori, scoprire che la storia non va da nessuna parte è come impegnarsi in una gara di velocità solo per scoprire che l’addetto alla misurazione si è dimenticato di far partire il cronometro. Il finale ad esaurimento logico lascia a bocca asciutta, non provvede quella catarsi che ci si aspetta dalla fiction. Per esempio, a molti non piace scoprire che il libero arbitrio del protagonista era illusorio, perché è un finale senza speranza, mentre un finale risolutivo, anche senza lieto fine, permette di sognare che anche i guai della vita reale, prima o poi, in qualche modo, passeranno.

L'angolo del follower


Oltre alle vostre critiche e commenti, come sempre graditissimi, sarei curiosa di fare una piccola statistica, se vorrete partecipare:

1) Quale tema vi interessa di più come lettori?

2) Quale tema vi interessa di più come scrittori?

(Se avete più scelte, cercate di metterle in ordine d'importanza decrescente, per favore).

17.9.15

Il questionario di Proust



A quanto pare esiste questo simpaticissimo meme chiamato "Il questionario di Proust", che M. ha copiato da Giulia e a cui anche Chiara, Tenar e Marina hanno partecipato. A parte il titolo troppo pomposo, che mi fa sentire in colpa perché non mi pare il caso di chiamare in causa Marcel Proust per una scrittura tanto mondana, mi sono divertita a leggere le risposte delle altre (a quanto pare, è un meme da donne) e spero vi divertirete a mettere il naso tra le mie.


Il tratto principale del mio carattere 
L’empatia. Dicono che quando mi si racconta qualcosa, me la prendo a cuore come se fosse successo a me. 

La qualità che desidero in un uomo
La qualità più bella del buon Neil è la totale assenza di negatività. Emana ottimismo da ogni poro. A volte mi dà perfino sui nervi, quando io invece vedo tutto nero e voglio lamentarmi di quanto non ci sia una luce alla fine del tunnel. Niente lo tira giù, e in questo modo non affondo nemmeno io.

La qualità che preferisco in una donna
Mi piacciono le donne belle e intelligenti. Le mie amiche sono tutte così. Seppur diversissime, hanno tutte un cervello sopraffino e sono piacevoli alla vista. Che risposta maschilista! Però è vero.

Quel che apprezzo di più nei miei amici
Il fatto che mi siano amici anche se sono tredici anni che non sono fisicamente presente nelle loro vite per la maggior parte del tempo.

Il mio principale difetto
Non so gestire le situazioni di conflitto. Mi viene l’ansia e mi si offusca il cervello, così anziché spiegarmi razionalmente, esplodo in commenti acidi o implodo perdendo il dono della parola. In entrambi i casi, non risolvo nulla.

La mia principale qualità  
Sono MOLTO in contatto con la mia bambina interiore, la lascio scorrazzare liberamente fuori dal cortile dell’inconscio, dove la maggior parte delle donne della mia età tengono incatenati i loro propri fanciullini.

La mia occupazione preferita 
È sempre stata leggere, poi ho cominciato a studiare l’arte dello scrivere e ho smesso di godermi qualsiasi lettura, perché è come guardare uno spettacolo di magia conoscendone i trucchi.


Il mio sogno di felicità.
Viaggiare, viaggiare, viaggiare.

Mai senza
Infradito, se proprio non posso andare scalza.

Magari senza
Il mal di stomaco e le intolleranze alimentari.

Se fossi un animale 
Mi dicono dalla regia che sarei una iena. Per il modo in cui rido, ovviamente, non andate subito a pensar male… va bene, lo ammetto, forse ho un caratterino. Ma so anche essere piacevole. Specialmente quando dormo. E quando mangio (choc chip cookies).

Pittori preferiti
I quadri di Omar Galliani
I disegni di Milk (Chiara Bautista) 
I graffiti di Banksy

Il paese dove vorrei vivere
ha.ha.ha. Ogni paese dove non sono ancora stata e dove le donne sono trattate alla pari. In cima alla lista ci sono Giappone e Argentina, ma se dovessi scegliere un posto dove starei tutta la vita allora Italia e Canada. E Fiji. E Indonesia. E… va beh, avete capito...

Il colore che preferisco
Quest’anno è il blu, ma i soliti sospetti sono il verde e il bordeaux.

Il fiore che amo 
Quello non reciso. 

I miei autori preferiti in prosa
In ordine temporale dal più antico al più recente:
Isabel Allende
Tracy Chevalier
Cecelia Ahern
Jonathan Coe
Haruki Murakami
Grazia Gironella

I miei poeti preferiti
Alda Merini.

I miei eroi nella finzione 
Harry Potter.

I miei musicisti preferiti 
In ordine temporale dal più antico al più recente:
New Kids on the Block :D
Pearl Jam
Radiohead
Jònsi
Bon Iver

I miei eroi nella vita reale
I miei amici. 

Quel che detesto più di tutto
Le bugie e il freddo.

I personaggi storici che disprezzo di più. 
Quelli che non si meritano di essere passati alla storia.

Il dono di natura che vorrei avere 
La comprensione della matematica!

Stato attuale del mio animo 
Sono molto fiera di me in questi giorni. Ogni tanto una pacca sulla spalla ci vuole.

Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza
I peccati di gola…

Il mio motto:

10.9.15

Leggete in lingua originale!


Vorrei spezzare una lancia in favore della letteratura in lingua originale.
L'argomento è da trattare con i guanti, perché si fa presto a dire "va beh ma questa vuol sbatterci in faccia che sa le lingue" oppure "io leggo prima di andare a letto, ho solo un neurone in azione, non ci penso nemmeno a mettermi lì col dizionario". Per levarmi dai guai, premetto che è tutta colpa di Tenar... Ma partiamo dall'inizio.


Uscire dalla zona di comfort


Ci sono molte ragioni per non fare il grande passo di leggere in lingua originale. Una delle scuse più quotate è il fattore disponibilità, "vorrei leggere in lingua originale ma la libreria vicino casa ha pochissima scelta e la biblioteca è in centro storico che è chiuso al traffico e la bicicletta è sgonfia e piove". Mi dispiace avvisarvi che questa scusa non vale più, perché grazie agli e-reader si possono comprare libri classici, moderni, per bambini, rosa, thriller, anche testi a prova d'idiota, perfino gli antichi libri del mondo perduto di Atlantide se volete, presentati in un font che li fa apparire intarsiati in simil-pelle di balena in alfabeto cirillico preistorico. Il tutto avviene con un semplice clic, e ci sono migliaia di libri gratis, quindi nemmeno la scusa delle vacanze che vi hanno prosciugato il portafogli regge.

Leggere in lingua originale è difficilissimo, all'inizio. Io ho cominciato a farlo solo perché costretta. Vi racconto com'è andata.


Lo spagnolo


Quattro giorni dopo la laurea sono partita con uno zaino per fare un giro in Spagna, e al terzo mese di "resterei ancora volentieri qualche giorno" ero ridotta a mangiare bocadillos e dormire a scrocco di ogni anima pia che si offrisse di ospitarmi. Ai tempi non c'era il Kindle, per cui mi iscrissi alla biblioteca di Salamanca (inventandomi residenza e iscrizione all'Università locale) e presi in prestito "El cabalero de la triste figura" ovvero il "Don Quijote de la Mancha". Grosso sbaglio... a pagina tre avevo il cervello in pappa e presa dalla disperazione uscii per una passeggiata, tornando quella sera con un piercing al tragus (che non è nulla di eclatante, bensì la cartilagine che protegge la cavità dell'orecchio). Il giorno dopo tornai in biblioteca e presi in prestito Isabel Allende e Paulo Coelho, in fondo sono sempre stati tra i miei autori preferiti, no? Come avrete ormai capito, quella sera tornai con un tatuaggio sulla schiena. Per fortuna, prima che cominciassi a scarnificarmi o drogarmi pesantemente, trovai un libretto di favole della ninna nanna di cui conoscevo già la storia e che mi aiutarono a superare la prova più difficile: la paura di non farcela.


L'inglese


Tornata in Italia, la fregola dei viaggi mi attanagliava la gola, e in poco tempo trovai il modo di ripartire: arrivata a Londra per fare il tirocinio post-laurea in Psicologia, senza conoscere nessuno, con un inglese terribile (la mia prof. d'inglese al Liceo era laureata in francese... potete immaginarvi le conseguenze), mi presi l'influenza.  Era il giorno del mio compleanno e chiamai mia mamma piangendo, chiedendo se potevo tornare a casa. Lei mi spinse a restare, tranquillizzandomi e dicendo che tutto sarebbe andato bene. In fondo erano solo sei mesi, non di più. (In realtà, non tornai mai più, e mia madre si mangia ancora le mani per quella telefonata). 
La mia coinquilina, pazza furiosa che poche settimane dopo fu sospesa dal suo lavoro di infermiera pediatrica e trasferita alla neuro con gravi problemi psichici (avevo le mie ragioni per piangere, come vedete) partì quella notte stessa per la Germania, per partecipare a un convegno di fan di Star Wars. Chiuse la porta della sua camera con quattro lucchetti per proteggerne l'ordine maniacale e cercò di uscire alla chetichella, ma non aveva fatto i conti con la mia italianità, che ai tempi era ancora feroce. La aspettavo sulla porta, carica di abbracci e di un diario coi bordi dorati per raccogliere gli autografi di Luke Skywalker & friends. Non dico che sorrise, per carità, quello mai, però la bocca di Penny si sollevò per un istante dal suo ghigno corrucciato, e girandosi sui tacchi, questo donnone di due metri e duecento chili riaprì i quattro lucchetti e mi consegnò un plico di cellophane contenente il regalo più gradito che potessi ricevere in quel momento. Cinque libri di Harry Potter (gli altri non erano ancora stati scritti) in inglese, scritti in un linguaggio semplice e accessibile, che mi divorai in pochi giorni e i cui personaggi diventarono i miei primi amici londinesi. (Ovviamente mi guardai bene dal fare le orecchie alle pagine, pena la mia incolumità).


È sempre e comunque colpa di Tenar


Come ho accennato a inizio post, è difficile spiegare a chi non legge in lingua originale perché dovrebbe sforzarsi di cominciare. Il motivo è semplice ma potente: anche con la migliore delle traduzioni, non si può mai ottenere l'atmosfera e il significato esatti che l'autore ha infuso nel testo originale.
Tenar ha scritto un post sul finale del suo prossimo romanzo, che tutti sbaviamo dalla voglia di leggere, e se non state sbavando vuol dire che non avete letto i suoi libri già pubblicati, e nel contesto del post ha nominato il corvo.
Il corvo è per antonomasia l'ambasciatore delle cattive notizie, il preludio al dramma, nessuno scrittore sceglierebbe mai un simpatico corvaccio per rallegrare le giornate dei suoi personaggi. Ho sempre associato quest'uccello all'inquietante poesia di Edgar Allan Poe, "Il corvo", che nel mio immaginario era una bestia lucida dagli occhi seri, imbalsamata sopra al camino.
Fino a quando non vidi... "the raven" ( in sottofondo, una musica spaventosa in pieno stile horror).
Guidavo tranquilla su una strada senza traffico, riflettendo sulla vita e su cosa avrei mangiato per cena, quando mi trovai davanti a una visione terrificante. Un corvo, certo, ne riconoscevo il lucido manto nero e il duro becco famelico. Eppure le dimensioni erano quelle di una ciunta gallina, o di un piccolo fagiano. Era un uccello, ma non un'aquila, e non si muoveva, stava fermo in mezzo alla strada e mi scrutava senza batter ciglio. Fermai la macchina, presa da un misto d'imbarazzo e timore. Per fortuna nessuno mi avrebbe giudicato per la mia codardia, eppure non potevo rischiare di uccidere la bestia, e ancor meno di ammaccare la macchina, che non è nemmeno mia. Si mosse, infine, continuando a guardarmi, come a deridere le mie insicurezze. Attraversò senza guardare, come un vero pirata della strada. 
Una volta al sicuro nell'accogliente focolare domestico, raccontai l'accaduto, solo per scoprire che quello che avevo visto non era affatto un corvo, bensì il nordico "raven". 
E, come sicuramente molti di voi già sanno, "The raven" è il titolo originale della poesia di Edgar Allan Poe, che, vi assicuro, ora mi fa molta più paura.




L'angolo del follwer


Leggete in lingua originale?
Se sì, perché vi piace?
Se no, vi ho convinti a provarci?