10.11.16

È disordine la parola d'ordine?

Conoscete quel detto inglese?
Significa, letteralmente, "abbraccia il disordine". Mi sento proprio così in queste giornate post-elezioni, in cui il sito dell'immigrazione canadese è in tilt per le troppe richieste d'ingresso al paese da parte dei cittadini statunitensi in fuga da Trump. Lungi da me intavolare una discussione politica... ne parlo perché la questione mi riguarda personalmente. Da tredici mesi ormai aspetto pazientemente che mi arrivi il visto di residenza e temo che questa invasione possa creare ritardi e singhiozzi per chi è già stato educatamente in fila ad aspettare il proprio turno come me. 

Cosa ne sarà del mio visto? E del mio futuro? Ha senso che me ne preoccupi o sarà meglio fare spallucce e lasciare che il mondo vada come vuole? 
Accettare il disordine delle cose è la ricetta per vivere meglio? O è proprio per questo motivo che il mondo va a rotoli?
Ha ragione John Lennon quando dice che "la vita è ciò che ti succede mentre fai altri progetti" o dobbiamo seguire la lezione di Confucio che "il successo dipende dalla preparazione precedente, e senza una tale preparazione c'è sicuramente il fallimento"?


Spetta a noi ripristinare l'ordine?


Di sicuro la pensa così Marie Kondo, autrice del best-seller Il magico potere del riordino (2014).




Nata e cresciuta in Giappone, Marie Kondo è sempre stata ossessionata dal sistemare le cose di casa, buttare il superfluo e organizzare quel che si possiede in modo che non dia fastidio e che non faccia perdere tempo. Ognuno di noi vive in case stracolme di cose inutili e passa ore e ore a rassettare e lamentarsi di quello a cui è costretto a rinunciare perché costretto a dedicarsi al riordino. Il metodo messo a punto dalla Kondo promette di non dover mai più doversi dedicare alla confusione che si crea e ricrea in casa, grazie a una riorganizzazione definitiva basata su due punti chiave: buttare tutto quel che è di troppo e non ci regala più emozioni e organizzare quel che resta in modo pratico e funzionale. 

Onestamente io credo che questa persona abbia dei problemi psicologici, quantomeno penso si possa dire che ha una personalità anale con tendenze ossessivo-compulsive. Da bambina, anziché lasciarle passare i pomeriggi a riordinare i campioncini di creme per il viso nei cassetti del bagno, i suoi genitori avrebbero potuto coinvolgerla in giochi coi fratelli o mandarla al dopo scuola. Per fortuna, anziché sviluppare deviazioni che ne inficiassero le competenze sociali, la piccola Marie ha trasformato la sua idiosincrasia in una professione e ne è diventata una maestra riconosciuta a livello mondiale.

Ha ragione Marie Kondo? Personalmente, io amo aprire un cassetto e trovare un cimelio storico dei miei viaggi a cui non pensavo da anni, mi è capitato proprio ieri, con il coltellino da immersioni che mi ha regalato il mio amico dj Sarc:o nel 2011 quando si è trasferito nel mio appartamento di Reggio Emilia perché io partivo per andare a vivere in Messico. Mi è bastato vedere il coltello, che non ho mai usato ed è pure un po' arrugginito, per riprovare la tristezza dell'arrivederci alle porte del Natale e l'entusiasmo della partenza accompagnata da zaino e hoola-hoop. Sono ben contenta di possedere questo inutilissimo coltellino da immersioni e non lo butterei per niente al mondo. Vale più di mille fotografie. 


È disordine la parola d'ordine?


Credete sia vero che l'universo ci manda dei messaggi mirati, come sosteneva La profezia di Celestino di James Redfield (1993)



Se ricordo bene, la prima illuminazione parlava proprio di improvvise coincidenze e incontri predestinati. 
Credo me ne sia capitata una la settimana scorsa, quando la mia amica maestra Monica mi ha scritto per chiedermi se conoscessi la libreria Mac Leod's di Vancouver e poco dopo, mentre andavo a trovare un amico in macchina, ci sono passata davanti. Si trova all'angolo tra due strade trafficate, a pochi passi da China Town, con un sobrio ingresso da negozietto inglese, senza fronzoli. Non l'avrei mai notata se non fosse stato per Monica.


L'interesse per questo negozio nasce da un racconto del libro Passeggeri Notturni (2016) in cui Gianrico Carofiglio parla di questo mistico luogo in cui i libri giacciono accatastati ovunque, senza alcun apparente ordine o senso.




Confermo l'esattezza della descrizione. Entrata nel negozio, procedevo a passi felpati nel timore di causare un terremoto di saggezza. I testi erano stipati in ogni angolo e dove sembrava che il negozio terminasse c'era in realtà un altro, ancora più nascosto, anfratto, pullulante di titoli appena usciti, famosi, sconosciuti, bizzarri, o talmente antichi da non attentarsi a toccarli per paura di polverizzarli. Dietro una scrivania appena visibile stava tranquilla una ragazzina asiatica con cappellino di lana e occhialetti da Harry Potter e un signore distinto molto anglosassone impegnato in una conversazione telefonica di lavoro. Il buon Neil e io ci siamo subito persi di vista, ingolfati da questa assurda biblioteca senza indice, per ritrovarci faccia a faccia venti minuti dopo, quasi sorpresi di trovarci lì, con un sorrisone da orecchio a orecchio e una pila di libri scelti a caso tra le braccia (entrambi siamo sostenitori della teoria che i libri più belli siano quelli che ti chiamano a sé per nessuno motivo particolare). Eccone alcuni.







I poemi scritti dai gatti non li ho comprati alla fine ma è stata dura rinunciare all'acquisto... senza farmi vedere, li ho infilati tra il Paradiso di Dante e Chuck Palahniuk, contando di tornare tra qualche mese a controllare che siano ancora lì. Chissà che non tornino al loro posto, in bilico sul primo panchetto a destra del quarto anfratto di sinistra verso lo stanzino dello staff (anche quello, ovviamente, stipato di libri dal pavimento al soffitto). A quanto pare, nutro ancora la speranza che ci sia un qualche tipo di posto giusto, non importa secondo quale logica, per qualsiasi cosa a questo mondo.


La visita al Mac Leod's ha suscitato in Gianrico Carofiglio un'interessante riflessione, a sostegno della teoria che l'entropia sia l'unico futuro possibile. Cita La forza del disordine (2007), di Abrahamson e Freedman, in cui si sostiene che l'ordine e la pianificazione spesso producono più danni che benefici e che troppo spesso al giorno d'oggi l'ordine è divenuto un fine piuttosto che un mezzo. 





Così conclude Carofiglio: 

Quando veniamo travolti dall'ansia per le nostre scrivanie e le nostre case disordinate non è tanto perché il disordine ci crea dei veri problemi, ma solo perché supponiamo che dovremmo essere più ordinati e organizzati.
Molto vero, mi sono detto dopo aver riletto qualche pagina di quel libro. Poi ho dato un'occhiata alla mia scrivania, che oggi avevo deciso di mettere definitivamente a posto (prendo questo tipo di decisioni definitive diverse volte al mese), ho ricordato una celebre frase attribuita a Albert Einstein - "Se una scrivania in disordine è segno di una mente disordinata, di cosa è segno, allora, una scrivania vuota?" - e, di ottimo umore, me ne sono andato a passeggiare sul lungomare.


E voi, da che parte state? 

15.8.16

Al festival delle arti scritte - 2016

Anche quest'anno ho partecipato al Festival of the Written Arts organizzato nel paesino di Sechelt, sulla Sunshine Coast del British Columbia.

Tre giorni di eventi, una ventina di autori, rigorosamente canadesi, che leggono le loro opere e poi firmano i libri per gli spettatori. Quest'anno l'ospite più famoso era Lawrence Hill, autore del best-seller The book of negroes (2007). Non ho trovato una traduzione italiana, correggetemi se invece esiste. 




La parola contenuta nel titolo è razzista, proprio come in italiano (non voglio ripeterla perché temo che i motori di ricerca mi mandino spettatori poco graditi). L'autore l'ha scelta per sottolineare come alla fine del 1700 ci si riferisse alle persone di colore con questo termine. Il titolo infatti è il nome di un documento storico della marina britannica del 1783, in cui sono nominate 3000 persone di colore al servizio del Re durante della guerra a cui veniva garantito il passaggio da Manhattan al Canada. (Per chi non lo sapesse, allora come adesso, il Canada era il miraggio, il paradiso, il rifugio dei pacifisti e dei perseguitati americani). 

La protagonista del libro, Aminata, personaggio non reale ma estremamente realistico, strappata al suo villaggio africano all'età di 11 anni e venduta come schiava dopo aver visto uccidere suo padre, deve riuscire a entrare nella lista dei nomi su quel documento per ottenere la libertà. È lei stessa che ci racconta la sua triste e difficile vita, stupita di essere sopravvissuta fino alla terza età.

Lo so, è un libro lungo e in inglese, ma se ve la sentite di fare lo sforzo, Aminata vi conquisterà a pagina 2 e vi accompagnerà passo passo nella lettura.



L'autore del libro, Lawrence Hill, ha accettato che il libro fosse trasformato in una mini-serie televisiva, ma a quanto pare non si è montato la testa, infatti lo scorso martedì, arrivando alla cena organizzata per i volontari del festival, me lo sono trovata davanti, in compagnia di sua figlia. Mi ha fatto un sacco di domande sul mio romanzo e sui miei viaggi e ha approvato l'idea di scrivere delle mie avventure tramite personaggi di fiction. Come potete immaginare, ho gongolato tutta sera.

Gli altri eventi del festival a cui ho partecipato non mi hanno entusiasmato come gli anni precedenti, in genere preferisco autori che parlano delle loro storie piuttosto che quelli che leggono dai loro libri e questa volta mi sono capitati molti lettori. Fatico a seguire i testi in inglese senza averli sotto mano, la mia attenzione uditiva non è sviluppata come quella visiva. C'è stata comunque qualche chicca che val la pena raccontarvi.



Anakana Schofield, autrice di Malarky (2012), è diventata famosa col suo primo romanzo per la sfacciataggine del suo stile. Il titolo, Malarky, è intraducibile ma più o meno significa sciocchezza, cazzata inutile. È il termine che Sheldon di Big Bang Theory usa per descrivere le premonizioni della veggente che gli predice il futuro, per farvi capire. 
Il pubblico ha apprezzato la crudezza di linguaggio e Anakana ha deciso di trasformare Malarky nel primo di una serie di quattro libri, di cui per ora ha scritto solo il secondo, Martin John (2015), la storia di un uomo sessualmente deviato e del suo rapporto con la madre morente. 
Dissacrante, è il primo aggettivo che mi viene in mente pensando a questa autrice, che si è presentata dicendo di essere recentemente entrata in menopausa e ha letto un passaggio del suo romanzo in cui si ripete una trentina di volte la parola più volgare e offensiva del vocabolario inglese (avete capito, no? Fa rima con ant). Alla faccia di chi dice che tutto è già stato detto e scritto.



Guy Gavriel Kay ama twittare e seguirlo è un piacere perché sa far ridere con brevi scherzi sugli eventi del giorno. I suoi innumerevoli romanzi sono tutti basati su eventi storici, visti tramite gli occhi di persone comuni, più un pizzico di magia. Da Istanbul all'antica Cina ai predatori dell'Adriatico questo autore conosce molto bene la storia del periodo che narra e la insegna senza che il lettore se ne accorga, preso com'è dalle peripezie dei personaggi. Di lui mi ha colpito soprattutto una riflessione su come, seppur studiando varie epoche e luoghi disparati, abbia trovato gli stessi desideri e le stesse necessità negli esseri umani: cibo, riparo, amore, sicurezza, protezione dei figli.



E su quest'onda filosofica, chiudo con un commento di Marina Endicott, autrice di Close to Hugh (2015), libro nato dalla constatazione delle seguenti quattro verità assolute:

1. La sofferenza è parte intrinseca della vita umana.
2. Esistono cause specifiche che provocano la sofferenza.
3. Le cause della sofferenza possono essere rimosse.
4. Semplici percorsi portano alla rimozione delle cause della sofferenza.

Detto questo... dove sono i segnali stradali in grado di guidarci lungo questi percorsi? Come si può tornare interi dopo essere finiti in pezzi? Come si sconfigge la morte?

Se il libro risponde davvero a queste domande, sarà una lettura interessante! Vi terrò informati. Per ora...

Buon ferragosto a tutti!

21.7.16

Chi popola la mia mente?

A questo meme hanno partecipato:

Tenar
Chiara
Barbara



I personaggi che abitano nella mia testa sono seduti alla consolle in pieno stile Inside out e si danno il cambio a seconda del tempo atmosferico, del ciclo lunare e della mia posizione cosmica (nel senso di dove mi trovo nel mondo, non dell'oroscopo).

In genere, quando sono in movimento, al volante siede Biancaneve.
Lei ama la natura, i cerbiatti, i procioni, gli uccellini, il cielo blu, il caldo afoso e il mare con le onde. Passeggia sulla spiaggia canticchiando allegramente mentre l'universo le risponde con messaggi di peace & love. Libera e felice, se ne frega della carriera, dei soldi, dei notiziari. Lei non sa che esiste il lato scuro della luna.

Purtroppo gli incidenti son frequenti e quando deve fare i conti con la vita vera Biancaneve si trasforma nella Strega cattiva. Lei è figlia unica, viziata, presuntuosa, permalosa, impaziente e un po' zitella. Si inviperisce quando il traffico non la lascia passare, come osano? Miseri pezzenti. Non sanno chi sono io? Quando il governo non rilascia il visto, quando il sistema sanitario nazionale canadese non copre le spese mediche, quando il proprietario della casa decide di vendere costringendola a traslocare, lei si I-N-C-A-Z-Z-A. Non le importa affatto dei milioni di persone rifugiate o senza tetto o costrette all'ospedale. Lei vuole tutto subito e lo vuole servito sul piatto d'argento del servizio buono.

Quando qualcosa va per il verso giusto, la strega cattiva si acquieta e per qualche ora Cucciola esce a giocare. Lei è la fanciullina, la Lisa bambina, quella che salta nelle pozzanghere e non sente la pioggia, quella che fa a cuscinate, brinda alla vita e mangia la pizza, perché magari stavolta riesco a digerirla bene... 

Peccato che l'età avanza e l'ernia iatale incombe, meglio filare prima che la pizza si pianti e Brontola arrivi in consolle. Stava dormendo, lei, non voleva doversi alzare, non voleva parlarvi, né vedervi, se fosse per lei non staremmo manco qui a scrivervi. No, non vuole giocare, non vuole camminare, non vuole prendere il bicarbonato. Vuole tornare all'età d'oro della giovinezza, della spensieratezza e del fancazzismo, ma non si può, e allora almeno bisogna vivere una vita straordinaria e far sì che ogni giorno valga la pena esser vissuto. Non c'è tempo da sprecare. 

Chiamate Dotta, che firmi i nuovi appelli di Amnesty International e faccia qualche piano diabolico per salvare il mondo scrivendo libri sulla emancipazione femminile o almeno che paghi le bollette, che qualcuno deve pur farlo.

Ah, bollette. La parola magica per far uscire allo scoperto Pisola. Telecomando, Netflix, in fondo, domani è un altro giorno. 

- E quel bottone rosso col vetro di protezione sulla consolle? A cosa serve? 
- Eh, in caso di emergenza, arriva lei... Panica... ma quella non scrive, non pensa proprio. Corre avanti e indietro come una gallina sgozzata, con le mani nei capelli, gridando oddio moriremo tutti... però non dura tanto. Basta comprarle il gelato, una bottiglia di vino, magari tre o quattro libri online, che si acquieta. 
- Panica? Non l'ho mai sentita nominare, non mi pare che ci fosse nella storia originale. 
- L'hanno aggiunta nella versione moderna della consolle. 
- E a cosa serve? 
- A far girare l'economia. 

6.7.16

È ora di mettere il punto.

Amici di blog! Non andate in vacanza senza passare a salutarmi!
Ho leggiucchiato un po' in giro e sono molto gelosa dei vostri lugli e agosti in montagna o in ammollo.

Vi auguro serenità, divertimento e tante ore da scribacchini!

Per quanto mi riguarda, ho mantenuto la parola data quando ho sospeso l'appuntamento settimanale col blog per dedicarmi completamente al libro. Mi siete mancati ma non ho sprecato tempo e sono pronta a mettere il punto al romanzo. 



Le ultime settimane sono state intense, ho dedicato alla revisione ogni momento libero, forte della consapevolezza che era quasi fatta. Mi sono alzata presto, ho messo da parte i videogiochi, ho rinunciato al bicchiere di vino all'ora di cena, mi sono addirittura data malata per non partecipare a un compleanno e stare a casa a scrivere (va beh, lo ammetto, non ci volevo andare proprio e ho usato il romanzo per mettere a tacere i sensi di colpa).

La mitica Chiara Ferretti, autrice del disegno che campeggia sul frontespizio del de agostibus, si è già messa al lavoro per creare la copertina del libro. Incredibile donna, le ho detto quel che mi sarebbe piaciuto e lei, manco mi leggesse la mente, in poche settimane mi ha mandato la bozza che avrei disegnato io stessa, se non fosse che alla nascita si son dimenticati di darmi il gene del disegno. Riesco a malapena a tratteggiare un omino stilizzato. È un cane e un cavallo? Quattro zampe ci sono, la quinta speriamo che sia la coda, altrimenti sono guai.

Cinque volontari coraggiosi riceveranno la storia nei prossimi giorni e hanno giurato di essere crudelissimi nel riferirmi cosa ne pensano del libro, una volta finita la lettura. 
Ci tengo a ringraziarli anticipatamente e pubblicamente. Grazie a:

  • Monica Verzelloni (maestra di scuola elementare, perfetta con la penna rossa in mano).

  • Bruno Agosti (lui non si è offerto, ma in quanto papà non ha diritto di scelta).

  • Chiara Casotti (giornalista e avvocatessa, in carico di controllare soprattutto eventuali baggianate legali).

  • La Benzi nella casetta gialla (persona dal cuore grande e generoso che non ha idea del guaio in cui si è cacciata).

  • Elisa Borciani (copywriter, autrice di "Greta Parlante" e in uscita a breve con il secondo romanzo. Non sa ancora di essersi offerta volontaria ma in quanto migliore amica perde anche lei il diritto ad avere un'opinione in merito).

Se per caso tra voi ci fosse qualche masochista con un buchetto di tempo estivo io vi aggiungerei molto volentieri alla lista, altrimenti ricordate che prima o poi riuscirò a rifilarvi il libro comunque. Buahahahaha (risata diabolica).

Ora vi lascio, devo mettermi a studiare quelle simpatiche questioni di font e format che sono riuscita a evitare fino ad ora. Si accettano suggerimenti su come si crei un pdf, un MOBI e mostri simili.

Buona estate! Ogni tanto mandate una e-cartolina per dir che state bene!

18.5.16

Il deserto sul lago

Sono in vacanza. Dalla sala vedo le onde che increspano il lago, il pratino all'inglese, il patio assolato mosso da una brezza fresca e i miei piedi, per aria, su una poltrona di pelle nera morbida. Proprio come quelle di Joey e Chandler, vi ricordate? Basta un semplice tocco per trovarsi sdraiati e avviluppati in un tenero abbraccio. Se sparisco a metà frase, non preoccupatevi, mi sarò sicuramente addormentata.


Fuori

Dentro

Mi trovo nel deserto di Osoyoos, 400 km a Est di Vancouver, al confine con gli Stati Uniti. Anzi, SUL confine. Ieri mentre camminavo sul lungo lago la compagnia telefonica mi ha mandato un messaggio che diceva "Welcome to the USA"! Mi sono affrettata a fare dietro front, ma se il Canada dovesse darmi l'espatrio, ora ho un piano B!

Quando sono arrivata nel deserto di Osoyoos ho notato subito un fatto curioso. C'è l'acqua, tanta acqua, tanto verde, lunghe file di vigneti, ovunque, oasi sparse di pace e tranquillità, ma di dune di sabbia, neanche l'ombra. 

fonte: http://www.alluradirect.com/osoyoos-bc.cfm

Il saggio Google mi spiega che Osoyoos, il cui nome significa "lingua di terra tra due laghi", è la punta settentrionale del Sonoran Desert, che sale dal Messico e dall'Arizona. A voler essere puntigliosi, le precipitazioni annuali in quest'area sono di qualche millimetro al di sopra del limite richiesto per definire l'area un vero e proprio deserto. Ora che lo so, posso mettermi il cuore in pace e godermi le placide onde e l'assaggio dei vini.

Nk'Mip Desert Centre

Nk'Mip Resort

Come sono arrivata qui? È semplice. Quando ho scoperto che non potrò uscire dal paese per il prossimo (remoto) futuro, ho chiesto a Siri "qual è il posto più caldo del Canada?" e voilà, sette mesi dopo, eccomi qui a guardare le barchette e scrivervi delle mie avventure.

Non che la vacanza, in sé, sia avventurosa. Ci saranno dieci anime in tutto il paese e la parte più faticosa della giornata è la passeggiata, in ciabatte e senza borsetta. Gettarsi nel lago, quella sì, sarebbe una sfida rocambolesca, vista la temperatura dell'acqua, ma io ci ho infilato solo mezzo polpaccio prima di strillare come un pollo spennato e abbandonare l'idea.

Avventuroso, invece, è il progresso del mio romanzo, che scalpita come un toro davanti al capote e decide quando dormo e quando mangio. Il fatto che in questa stagione non venga mai buio, a cavallo del quarantanovesimo parallelo, fa incazzare ma aiuta. Alle quattro e un quarto, puntualmente, un raggio di sole mi perfora il lobo frontale, costringendomi all'insonnia. Ne approfitto per scrivere. 

Sento puzza di traguardo, anche se ci sono ancora tante piccole domande stronzette a cui devo rispondere prima di poter inviare il manoscritto a qualche beta-reader volenteroso. Tutto deve essere sensato, i personaggi devono essere coerenti a se stessi, la trama deve filare liscia e il ritmo di ogni scena deve andare a tempo col ritmo generale. I dialoghi vanno rivisti, le descrizioni lucidate, il finale deve provocare la pelle d'oca e l'incipit va riscritto completamente, per la ventesima volta.

Peccato aver solo pochi pochi troppo pochi giorni per starmene qui a guardare le barchette. Vi vorrei tutti qui, a fare il barbecue e vedere chi ha il coraggio di buttarsi per primo in acqua. Potremmo discutere della gara di expedit e delle nomination per il Liebster Award. Ringrazio moltissimo chi mi ha nominato quest'anno: Giulia Lù, Monica Brizzi, Mattia LScusate se non sono molto presente sul blog ma sarà un'estate frenetica e voglio tentare di finire il romanzo finché ho il tempo e le energie!

Un abbraccio dal "deserto" di Osoyoos! 

Look out point
Selfie col buon Neil



14.4.16

Blog tour: Storia in sei parole


Venghino, signori, venghino! Oggi ospitiamo il blog tour organizzato dal nostro secchione della classe, il famosisssimo Michele Scarparo del blog Scrivere per caso.

Autore di tante rubriche interessanti, Michele ha proposto ai soliti sospetti di cimentarsi nell'arduo compito di mettersi nei suoi panni, così che a noi non è rimasto che rimboccarci le maniche mentre lui se n'è andato in vacanza (non se le sta godendo, purtroppo, perché gli fischiano continuamente le orecchie, e se lo merita).

Se vi sentite chiamati in causa ma non trovate il vostro nome nel seguente elenco, siete ancora in tempo a mettervi in fila per farvi schiavizzare dallo Scarparo. Lo trovate qui.

Ecco le puntate precedenti del blog tour:

E a breve sui vostri schermi:

  • Giulia Mancini (Liberamente Giulia) – una storia in sei parole – 18 aprile
  • Seme Nero (Semi d’inchiostro) – thriller paratattico – 20 aprile
  • Barbara Businaro (Webnauta) –  acchiappami – 22 aprile

Storia in sei parole


Siete pronti a giocare? Ecco le regole. 

Avete sei parole, non una di più, non una di meno, per esprimere un concetto ispirato alla parola scelta per voi questa settimana.
Dicono che il primo sia stato Hemingway, per vincere una scommessa: «For sale: baby shoes, never worn» (Vendesi: scarpe per neonato, mai indossate). Di sicuro sei parole sono sufficienti a dipingere una storia. Persino un romanzo. Ma sono poche, dannatamente poche, e non è facile per nulla.
Se volete fare pratica prima di cimentarvi nella prova di oggi, qui trovate le altre puntate della rubrica "Storia in sei parole".
La parola di oggi è KINTSUGI.

Il kintsugi è la tecnica giapponese del rimettere insieme i cocci di un vaso rotto utlizzando una lacca collosa mischiata a polvere d'oro, d'argento o di platino. In questo modo, anziché gettar via un oggetto ormai inutilizzabile, se ne crea uno più forte e più bello. È una forma d'arte che parla direttamente alla mia anima fenice, che crede alla capacità di ogni essere umano di rinascere dalle proprie ceneri, di cadere e sapersi rialzare.

Da bravo banditore, comincio io: Colerò pepite salate quando saprò perdonarmi.

Giocate con me?

8.4.16

Film per scrittori: 5 to 7

POSTILLA DEL 19 GIUGNO 2016:
RIP ANTON YELCHIN.
UNA MORTE ASSURDA LO RENDE MEMBRO DEL 27 CLUB.


Vi è mai capitato di vedere un film e desiderare di poterlo leggere? 
5 to 7 sarebbe un libro bellissimo.


L'ho scelto tra le proposte di Netflix una sera, con aspettative talmente basse che non avrei potuto rimanere delusa. Ho tenuto il telecomando in mano, pronta a cambiare idea, per i primi quaranta minuti, poi mi sono arresa al fatto che, nonostante gli attori mediocri e la storia scontata, valesse la pena vedere l'intero film per appuntarmi alcune parti del copione, assolutamente geniale.

Lo scrittore e regista è tale Victor Levin, che finora ha solo scritto commediole romantiche, come questa, del resto. Il protagonista maschile è un giovane aspirante scrittore (Anton Yelchin) che si innamora di una donna francese sposata con due figli (la MILF per eccellenza, nonché Bond girl di Skyfall, Bérénice Marlohe). 

SPOILER ALERT. 

Come vi potete immaginare, il giovane idealista perde la testa, tutti i soldi e alla fine anche la dignità, ma diventa uno scrittore di successo quando, finito l'amore, non gli resta altro che la pagina bianca per sfogare il suo dolore. Il film si intitola "Dalle 5 alle 7" perché la francesina e il marito hanno un accordo che permette loro di frequentare altre persone ogni giorno a quell'ora... Bah. Contenti loro... Passiamo alle cose interessanti. 

FINE SPOILER ALERT.

Il film comincia con un incipit dolce e potente.

La telecamera si sofferma sulle panchine di Central Park a New York, lasciando il tempo allo spettatore di leggerne le incisioni, mentre la voce fuori campo spiega che alcune delle scritte più belle della città di NY non si trovano affatto, come ci si potrebbe aspettare, sui libri, nei film o a teatro, bensì appunto sulle panchine del parco. L'effetto è forte, perché le incisioni parlano di storie d'amore, di guerra e di morte, che vanno dritte al cuore.


"Read the benches and you'll understand 
enormous things happened in every life"




"The beautiful Kate Kaurate, age 18
deserved so much and died so young
I was so moved by you
I would have done anything to save you"

Il primo personaggio a essere presentato è LUI, che ogni giorno appende al muro le lettere di rifiuto da parte delle case editrici di ben dodici paesi, tra cui il famoso magazine New Yorker (cliché tipico americano). I genitori, preoccupati, vorrebbero che andasse all'Università, ma lui vuole fare lo scrittore a tutti i costi. Passa le sue giornate scrivendo, sognando storie e parlottando tra sé e sé, (vi sentite chiamati in causa?) finché per caso vede LEI. Attraversa la strada, fumano una sigaretta, si sorridono ed è amore. LUI non riesce più a scrivere, vive per LEI, pensa solo a LEI, fino a quando LEI gli spiega di esser sposata ma di avere due ore al giorno di libertà per frequentare chi le pare. 

Il marito, intanto, nelle sue due ore libere frequenta una famosa editor (non capita mai nella vita vera) e così LUI si trova anche l'agente. Incontro fortunato, no? Ma del resto, come dice LUI, in New York non si è mai a più di venti piedi di distanza da qualcuno che si conosce o da qualcuno che si è destinati a conoscere. La editor non si fa crucci per il fatto che il suo amante sia sposato, anzi cerca di convincere LUI a godersi il momento, ché "Life is a collection of moments and the idea is to have as many good ones as you canIf you want to be a writer you can't have a mediocre life. You have to swing from the heels". 
"Swing from the heels" è una metafora tratta dal gioco del baseball che, dice la editor, di solito piace molto agli scrittori. Io non l'ho capita, per cui se ne cogliete il senso vi prego di condividerlo nei commenti.

Tutto il film è puntellato di frasi bellissime e poetiche, che a volte LUI si segna per le sue storie, proprio come faremmo noi. E qui e là, si vedono altre panchine.



"Want to hang out sometime outside of running?
Kelly & John
Married May 5, 2012"



"I swear I think there is nothing but immortality!
Penny M. Azar
1950-1995"

Vi lascio con la frase finale del film, mi ha fatto riflettere e mi è tornata in mente parecchie volte. Usatela, se vi pare, come spunto di meditazione per la vostra giornata di scrittura:

"Le storie più belle, qualsiasi esse siano, sono state scritte per un solo lettore".

20.3.16

AAA settantenne cercasi


La nascita di un personaggio


Chi scrive fiction sa quanto sia eccitante creare un nuovo personaggio. Se lo si inventa di sana pianta, nella mente iniziano a formarsi pochi, decisivi tratti del carattere, racchiusi in un corpo qualunque, di cui vediamo solo qualche lineamento sfocato. 

È uomo, basso, magro, italiano, anziano, furbo, impaziente, pericoloso.

Quando inseriamo il personaggio nella storia se ne cominciano a delineare meglio le caratteristiche, sia fisiche sia socio-psicologiche; sperimentiamo le sue reazioni facendolo interagire con gli altri caratteri, come in un teatrino di marionette.

È calvo, rachitico, raggrinzito, marito, padre, paesano, musicista, traditore.

Più dettagli inventiamo sulla storia del personaggio, più scopriamo da dove viene, che valori gli sono stati inculcati da bambino, quali esperienze di vita lo hanno segnato in modo indelebile; guardiamo impotenti la nostra marionetta tagliare i fili, le sue azioni e reazioni diventare personalizzate, abbandonando i cliché e i nostri progetti. Finalmente il personaggio diventa persona, con mille minime sfumature.

È gobbo, itterico, sdentato, rancoroso, religioso, disilluso, malato, solo.

I ruoli ora sono inversi, lo scrittore è umile servo e il personaggio scrive in prima persona. Per poterne esprimere i desideri dobbiamo identificarci con lui, avere il suo lessico, la sua educazione, i suoi valori, il suo temperamento. Se il personaggio è molto diverso da noi, identificarsi non è semplice, richiede molta ricerca, e tanto aiuto. E qui entrate in gioco voi.

Come lo vogliamo chiamare? Per ora, chiamiamolo Giorgio. Se non vi piace lo cambieremo.

Vi presento Giorgio


Giorgio cresce in una piccola città italiana del secondo dopoguerra. Immaginatevi un centro storico di ciottolato, con la chiesa, il municipio, il bar e le biciclette; le massaie a fare i lavori di casa, i contadini nei campi, i bambini che escono da scuola. 

Finite le elementari, Giorgio va a lavorare col padre, ma la sua vera passione è la musica. Grazie all'incontro con un buon maestro, Giorgio impara a suonare il violino; coi suoi primi risparmi compra lo strumento che porterà con sé fino alla tomba. 



Non diventerà mai famoso, ma non è l'ambizione che guida i suoi passi. Giorgio suona ogni domenica in chiesa e proprio lì un semplice volto di ragazza gli ruba il cuore, spietato.

La donna che riempie i suoi sogni è già promessa a un altro. Il desiderio impossibile lo corrode, lo isola, lo costringe all'immobilità, in attesa del prossimo incontro con l'amata, casta e irraggiungibile.

Quando la sorte si mette in mezzo, l'amore consumato distrugge le illusioni di Giorgio e lo costringe a partire, abbandonando le sue radici, portandolo a scoprire altri mondi, altre vite, per poi finire a morire di una malattia lenta e orribile, in un carcere di minima sicurezza, situato su un'isola oltreoceano.

Quel che Giorgio scrive è il suo testamento spirituale, in forma di diario, rivolto a nessuno in particolare, come un esercizio di memoria per liberarsi del tedio del cancro e della prigionia.

AAA settantenne cercasi


Ho bisogno d'aiuto per scrivere il diario di Giorgio. Non so identificarmi con lui; è troppo difficile, nonostante lo conosca molto bene, scrivere i suoi pensieri. Ho bisogno di pensare come un uomo settantenne e solo voi potete aiutarmi.

Non conosco abbastanza bene la storia del nostro paese, dagli anni 40 agli anni 90, i libri di storia non mi bastano per entrare nel mondo di Giorgio bambino, ragazzo e infine adulto.

Devo respirare la sua stessa aria, muovermi nel suo ambiente, mangiare alla sua tavola. Ci sono tante domande che mi frullano in testa, eccone alcune:

Anni 40-50: Come si vestiva per andare a scuola? Che giochi faceva coi compagni? Che ruolo aveva in famiglia, e come trattava i genitori? 

Anni 60-70: Come si vestiva per andare in Chiesa? Cosa pensava la gente delle star del cinema? Come si affrontavano i divorzi? Quali erano i sogni, le ambizioni di un giovane? Che musica si ascoltava?

Anni 80-90: Cosa pensavano gli uomini delle donne? Come pensavano le donne? Quanto corte erano le gonne? Quando si è cominciato a parlare di Internet tra i non addetti ai lavori? 

Se fossi a Reggio andrei subito in biblioteca, so che troverei moltissimo materiale tra libri, foto e video, ma da qui non posso far molto. Ho guardato qualche stralcio di film alla "Sapore di sale" su youtube e ho chiesto a Google di mostrarmi foto e testi inerenti alle parole chiave. Tanto per farci due risate, vi copio-incollo i testi dei primi due link trovati:

CERCASI MODELLA SERBA SETTANTENNE SDENTATA PER BOOK PUBBLICITARI DI POMPE FUNEBRI.

Vedovo settantenne calvo, grandi baffi, CERCA donna pari requisiti.

Purtroppo non sono sdentata né ho i baffi, per cui ho lasciato perdere le ricerche automatiche a mi rivolgo a voi, amici di blog, chiedendovi qualsiasi input abbiate voglia di inviarmi, che siano commenti al blog, storie che avete vissuto o sentito raccontare, ricerche che avete fatto per i vostri romanzi, nozioni che ricordate dai tempi della scuola, film che avete visto, o foto di famiglia che vi sentite di condividere. Fatemi anche sapere se sareste disponibili a leggere il diario per correggerlo una volta finito, si dovrebbe trattare di una trentina di pagine in tutto.

Potete scrivermi qui sotto nei commenti o via email

Grazie!





14.3.16

Indietro non si torna,

Nemmeno per prendere la rincorsa


È fatto noto e assodato che quando l'uomo giusto ti invita finalmente a cena sia utile zoccolare un po' in giro prima di presentarsi all'appuntamento, uscire con qualche sbavino che ti dia una botta di autostima, così da evitare di arrivare al fatidico incontro piena d'ansia e coperta di ruggine. "Così ti levi le ragnatele", si dice in gergo, ma non credo che la crusca approverebbe.


Oggi sono due mesi che non zampetto sulla tastiera, sessanta giorni che non passo del tempo coi miei personaggi. Se ne stanno lì, ibernati nel cervelletto, in attesa di conoscere il loro destino. Prima di andarli a trovare, ho pensato di passare da voi, così rimetto in moto le sinapsi in un ambiente accogliente e protetto e non arrivo impreparata al... climax.


Scrivere il finale del romanzo


Partire dalla fine non è tipico, né semplice. Eppure devo farlo, non ho scelta. Il romanzo è in sospeso proprio sulla scena clou, in cui ogni filo della trama è sbrogliato e ogni personaggio trova la sua risoluzione. Vi ci porto.

La protagonista e il suo principe azzurro sono ospiti in una sfarzosa villa immersa in un paradiso tropicale. Se ne stanno accoccolati sul divano a imboccarsi frutta fresca e godersi il fresco della sera mentre leggono il diario segreto del personaggio misterioso le cui azioni hanno causato l'intero patatrac da cui deriva la storia. Pagina dopo pagina, il lettore capisce tutto quel che è successo, com'è successo, perché è successo. 

Da una parte, la tensione sale perché il lettore mette insieme i pezzi della trama e arriva perfino a indovinare quel che i personaggi ancora non sanno.
Dall'altra, la tensione sale perché la protagonista deve scegliere tra l'amore e la libertà (in senso lato, non è che finisce in galera o qualcosa del genere).

Devo scrivere tre o quattro capitoli, non di più, per completare il climax, e devono essere perfetti. Ogni informazione deve essere data al momento giusto e il ritmo deve crescere ad ogni scambio di battute. Tutto si basa sull'alternanza tra la coppietta sul divano e le pagine del diario segreto.


I requisiti per un climax efficace


Vediamo insieme i requisiti per un climax efficace, proposti da Nancy Kress e riassunti qui da Anima di Carta:

  • Il climax deve confermare la visione del mondo implicita nella storia (deve essere una dimostrazione della premise)
Dimostrare la premise è facile, se la fase di programmazione è stata ben fatta e il romanzo è stato scritto tenendola bene a mente. Io nella prima stesura non avevo ben chiaro dove volevo andare e ho finito per dover riscrivere tutto daccapo. Adesso però fila tutto liscio e so dove sto andando, quindi non dovrei aver problemi ad arrivarci. 
  • Il climax deve suscitare emozione (pena la delusione del lettore)
Suscitare emozione è già più complicato, non perché la trama non sia mozzafiato, ma questa alternanza di passato (il diario) e presente (la coppietta sul divano) va ritmata alla perfezione per permettere al lettore di non svegliarsi dal sogno narrativo.
  • Il climax deve creare un'intensità emotiva adeguata al resto della storia (non si può iniziare con un dramma e concludere con un litigio pacato, e viceversa)
L'intensità emotiva della coppietta sul divano è adeguata al resto della storia, ma il diario ha tutto un altro tono. Il diario non è stato scritto per un pubblico, è una sorta di testamento morale, per cui ci sono parti lente e riflessive, e anche punti di raccordo per nulla emotivi che spiegano i passaggi da una fase all'altra della vita (e che sono necessari per capire l'evoluzione del personaggio).
  • Il climax deve essere la conseguenza logica dell'intreccio e della storia (deve essere in linea con le azioni e il carattere dei personaggi)
Una certa logica c'è, ma non è certo universalmente condivisibile. Il finale che vorrei riuscire a scrivere lascerà molte bocche corrucciate, in un primo momento. Vorrei che fosse uno di quei finali che come prima reazione ti fanno venire voglia di mettere via il libro e non guardarlo mai più, e che poi ti torna in mente alle quattro di notte e ti tiene sveglio perché ne realizzi l'implicita genialità. Mi è successo stanotte, per inciso, dopo aver visto l'acutissimo film Ex Machina (2015).


Tre tipi di promessa intellettuale


Sempre Nancy Kress distingue tre tipi di promessa intellettuale impliciti in ogni storia:

- Leggi questo e vedrai il mondo da una prospettiva diversa.

- Leggi questo e vedrai confermato quel che già vuoi credere riguardo al mondo.

- Leggi questo e imparerai di un mondo diverso, più interessante di questo.

Nel mio caso, vorrei che il lettore chiudesse il mio romanzo con una nuova luce negli occhi, magari non contento di quel che comporta, perché vedrà distrutte le sue credenze sul mondo, ma illuminato da una nuova consapevolezza che ne guiderà i passi per il resto della vita. Aspettative minime per il primo romanzo, non ancora finito, di un'aspirante scrittrice che non sta manco scrivendo e che si ricorda a malapena l'italiano, no? Eppure l'unico modo per farcela è credere di potercela fare, per cui riparto da zero, coi miei sogni tra le dita.


martin luther king


19.2.16

Domani farò errori migliori

Quando ho aperto il blog, un anno e mezzo fa, per un paio di mesi ho giocato con l'idea di come impostarlo e come chiamarlo. Ho guardato centinaia di template, mi sono iscritta a vari provider e ho scritto pagine su pagine di possibili titoli tra cui scegliere. Quasi tutti erano stringhe di parole legate al tema della scrittura, si parlava di fogli, inchiostro, righe e frasi, ma nessun titolo mi rappresentava, erano tutti anonimi, insipidi. Alla fine ho scelto il primissimo titolo che mi era venuto in mente, il "de agostibus". Alcuni amici a cui ho chiesto consiglio l'hanno definito stupendo, altri invece lo trovavano "sciocco", e sicuramente non è un nome pensato per massimizzare i risultati dei motori di ricerca, ma ogni volta che lo vedo mi fa sorridere e in due semplici parole riassume il mio intero essere. Ecco perché:

- Include il mio cognome, di cui sono molto fiera, e di cui sono l'ultima portatrice, perché sia io che mia cugina siamo figlie uniche e siamo femmine, per cui non ci sarà una nuova generazione di Agosti. 

- È un gioco di parole, e io ho sempre amato coniare espressioni buffe e neologismi.

- "De gustibus non est disputandum" è un espressione spavalda, decisa, che protegge il diritto di ognuno di vivere la propria vita a modo proprio, diritto che mi piace difendere a spada tratta.

- È "sciocco", come me, che adoro i cartoni animati e dormo con il panda di peluche (quello dell'Ikea, lo raccomando a tutti, ha un enorme potere consolatorio).

- Infine, e qui giungo (finalmente) al punto, è un titolo generico che non è per forza legato alla scrittura. Ho avuto tanti amori in passato, sono stata ossessionata dalla psicologia, dai viaggi, dalle immersioni subacquee. Può darsi che il mio amore per i libri sia passato e, chissà, magari questo blog d'ora in poi parlerà di come coltivare i cavolini di Bruxelles, o diventerà un forum su come sopravvivere all'immigrazione americana.

Come dite? Che non ci crede nessuno che mi sia passato l'amore per i libri? Che solo perché non sto leggendo e scrivendo da un mese a questa parte, non significa che non lo farò mai più? Lo spero tanto, miei cari. La paura c'è, l'autostima è a zero, ogni parola va estratta col cavatappi. Sono magneticamente attratta dal tasto "cancella", ma ho nostalgia di voi, e vi vedo andare avanti e vorrei che ci fosse un modo di recuperare.

Sono molto fiera di voi, vedo Michele che spopola con le sue rubriche interattive, Chiara che persiste nella sua ricerca di equilibrio e giustizia, Tenar che pubblica un racconto dietro l'altro, che chissà dove trova il tempo. Gioisco dei vostri progressi, dei romanzi che finite, pubblicate, ricominciate, soffro con Sandra che si rifiuta di stagliuzzare la sua storia, con Monica che non sa più cosa inventarsi per far volare il suo supereroe, scalpito per vedere il romanzo di Grazia in libreria, perché so quanto è bello e quanto ci ha lavorato.

So anche che l'inverno finirà, prima o poi, e che quella che chiamo sfortuna è in realtà un contrattempo, perché ci sono milioni di persone al freddo e milioni di persone in ospedale. Ho fatto delle considerazioni sbagliate, mi sono fidata delle opinioni altrui anziché usare la mia testa e ora pago le conseguenze della mia pigrizia. Ero così abituata alla buona sorte che mi sono scordata di stare all'erta. Pazienza. È ora di perdonarmi. Live and learn. Domani farò errori migliori.

È con questo obiettivo nel cuore e nella mente che vi scrivo in questo momento, anche se mi rendo conto che il livello energetico di questo post è pari a un mammut mezzo ibernato. Spero che la settimana prossima vi scriverò ancora, magari in stile orso che si sveglia dal letargo, ma che ancora respira.


fonte: http://goo.gl/QfHbL7