19.8.14

ERO IO QUEL QUALCUNO

lisa agosti


"Che bello il mio girasole" disse la mamma.

Mi sporsi dalla ringhiera del mio balcone per guardarla, non vidi alcun fiore. Al piano di sotto, con la testa china sul passeggino, faceva suonare un pupazzo col sonaglietto e di nuovo la sentii dire: "Che bello il mio girasole". Mi venne un dubbio che Girasole fosse il nome del bambino ma scossi la testa e tornai alla mia missione del giorno: abbronzarmi. Mi stesi a pancia in giù e infilai le cuffie, per tutta la settimana avevo rubato preziose ore di lavoro retribuito per preparare la playlist perfetta per la mia domenica di sole. L'acqua ghiacciata e la settimana enigmistica erano posizionate al mio fianco, non avrei permesso a niente e nessuno di rovinare i miei piani. Che gli altri andassero pure al mare e in montagna, io non avevo i soldi né una fidanzata da portarmi in giro, ma il sole è gratis e scalda il cuore anche ai poveracci come me, non mi serve altro per essere appagato. In più, stasera al Club Ricci farò un figurone, con la camicia di Ralph e una ciocca di capelli ribelle, sarò così scuro che penseranno tutti che sono andato in vacanza. 

Questi erano i miei pensieri allora, mentre la stanchezza di un anno di lavoro prendeva il sopravvento e mi addormentava.

Due gocce mi destarono. Aprii un occhio, a fatica, la luce del giorno era accecante anche se il sole era ben coperto da una coltre di nuvole basse e scure.

"Merda" sospirai, affrettandomi a riportare in casa lo stuoino e il resto, prima che il diluvio mi annegasse in balcone. Mi stavo ancora lamentando dell'inutilità delle previsioni meteo quando nel breve silenzio tra due canzoni sentii la mamma chiamare aiuto dal balcone di sotto. Abbassai il volume e rimasi immobile ad ascoltare i rumori dei tuoni e delle gocce sul tetto.

"Aiuto" giunse di nuovo la voce allarmata. Perché nessuno si affacciava? Di sicuro c'erano altri vicini in casa, qualcuno la stava sentendo, qualcuno che era così codardo da lasciare una mamma con un bambino piccolo fuori all'acqua senza prestare soccorso.

Ero io quel qualcuno.

Trasalii e mi affrettai in balcone maledicendo quei disgraziati egoisti delinquenti dei miei vicini, non mi importava se avevano novant'anni o se non parlavano italiano. Questa era un'emergenza e avevo sempre detto di credere nella buona fede degli sconosciuti. Non ci voleva molto a capire la situazione: la mamma era rimasta chiusa fuori in balcone e il bimbo piangeva disperato e spaventato dai tuoni e dai lampi dell'acquazzone estivo. Mi sporsi tanto da sentire la ringhiera piantata sulle anche e la rassicurai, chiedendole se aveva un mazzo di chiavi di scorta nascoste da qualche parte. Il pupazzo col sonaglino stretto al petto e lo sguardo da animale braccato la rendevano ancora più fragile e bella, mi sentivo un supereroe.

Mentre scendevo le scale due a due pensavo a quel volto segnato dalle notti in bianco, quel seno strabordante di latte e femminilità, quella donna che mai e poi mai mi sarei permesso di avvicinare. Mi sentivo un ladro anche solo a immaginare di parlarle, le ginocchia mi si piegavano, erano fatte di carta crespa. Rovistai tra i barattoli col fiato corto, mi ronzavano le orecchie quando infilai la chiave giusta. Il letto era disfatto, profumava di borotalco, mi costrinsi a proseguire, aprii la porta finestra, il cuore e il mondo a quello splendido sguardo umido. Non dissi nulla, tirai il passeggino in salvo e sorrisi a quel dolce girasole con la cuffietta gialla e il succhiotto a forma di fiore. Seppur piccolo, era evidente che i movimenti erano sbagliati, le manine si muovevano a scatti in una danza scoordinata. Nessuno lo avrebbe scelto per la squadra di calcio, non si sarebbe mai tuffato dal trampolino. Eppure sentivo che qualcuno si sarebbe sempre preso cura di lui, l'avrebbe fatto ridere e l'avrebbe caricato sulla bicicletta.


Ero io quel qualcuno.

6 commenti:

  1. Che ti dico? E' bello! Pur senza esagerare nei termini hai toccato una mia corda interiore. Lo trovo davvero riuscito, non si potrebbe aggiungere o togliere niente. Grazie di averlo reso pubblico, stasera avevo bisogno di cose del genere!

    RispondiElimina
  2. Grazie mille, le tue parole mi fanno respirare meglio. Scrivere in inglese non mi provocava molta paura perché, in fondo, se fallivo potevo sempre dar la colpa al mio essere straniera. Scrivere in italiano invece mi imbarazza molto, è come scendere in piazza a manifestare e accorgersi che non è venuto nessun altro... trattieni il fiato finché qualcuno non ti conferma che hai azzeccato almeno il giorno e l'ora!

    RispondiElimina
  3. Questo racconto è molto bello, coinvolge con pochi tratti e lascia all'immaginazione una via da seguire in un perpetuo lieto fine.

    RispondiElimina
  4. Grazie Renato, che belle parole hai scelto, me le tengo belle strette :)

    RispondiElimina
  5. Tanto dolce questo!! :) e non è sempre banale riconoscere, nelle cose belle o in quelle brutte, che "ero io quel qualcuno"

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Sam! In effetti non è mai facile prendersi tale responsabilità, nemmeno con se stessi.

      Elimina